Allo spegnersi di una vita ad Aleppo corrisponde la morte di una tradizione

Ascoltare la radio, guardare il telegiornale o scorrere le notizie sul web senza che la parola Siria primeggi come tragico scenario di sanguinosa devastazione sembra ormai un lontano ricordo. Il dramma della guerra continua a mettere il Paese in ginocchio non solo in termini di vite umane, purtroppo solo un’enorme punta di un ancora più gigantesco iceberg. Ad essere cancellate con un colpo di spugna sono certamente anche le tradizioni del popolo siriano, inimitabile bagaglio culturale.

Anche i meno ferrati in geografia sanno che un centro incandescente del conflitto è la città di Aleppo, dove le bombe non hanno risparmiato la millenaria produzione del sapone più antico del mondo. La ricetta odierna, rimasta immutata dai tempi di Cleopatra, prevede l’utilizzo di strumenti tradizionali e materie prime locali, primo tra tutti l’olio di oliva, addizionato con soda e acqua. È però l’aggiunta del preziosissimo olio di alloro a conferire unicità al sapone di Aleppo, rendendolo celebre in ogni angolo del globo insieme al timbro rigorosamente apposto su ogni saponetta.

Quella della saponificazione è da tempo immemore una tradizione estremamente radicata ad Aleppo. La trasmissione di padre in figlio va ben oltre la produzione di un bene per l’igiene personale: fa da collante sociale, unisce trasversalmente passato e futuro, rappresenta un sapere il cui inestimabile valore merita di essere trasmesso, alimenta l’economia locale, è cultura. Ma la guerra non guarda in faccia niente e nessuno ed ecco che dilania un diamante millenario, lasciandone solo le ceneri. Le difficoltà di reperimento delle materie prime, unite a quelle economiche che impossibilitano l’acquisto di un prodotto artigianale da parte della popolazione nel corso di una guerra, hanno del resto causato un autentico crollo della produzione e delle vendite. Se si aggiunge che la maggior parte delle imprese che producevano il celeberrimo sapone sono drammaticamente scomparse, non c’è da stupirsi. Si parla del 90%.

Al pari di una fenice, però, il sapone di Aleppo sembra rinascere dalle sue stesse ceneri. Questa volta la logica di spostare la produzione all’estero deriva da una reale situazione di emergenza e non era in nessun modo auspicata, ma sembra essere salvifica. Ecco che la Francia apre le braccia alla Siria, offrendoci un bell’esempio di integrazione internazionale e ricordandoci che questa è ancora possibile.

Franco-Syrian Samir Constantini (L), CEO of Alepia brand, and Syrian master soapmaker Hassan Harastani, who fled Syria and decided to produce Aleppo soap on French soil, pose December 22, 2016, holding bars of soap at the company’s factory in Santeny, near Paris. REUTERS/Christian Hartmann

Hassan Harastani non si è dato per vinto. Il saponificatore siriano non vuole gettare al vento le sue abiltà tradizionali e con loro la cultura del suo popolo. È così che nella città di Santeny, a Sud-Est della capitale francese, la produzione continua.

«Avevo una piccola attività, ma lo scoppio della guerra ha costretto me e la mia famiglia a fuggire. Abbiamo lasciato tutto: il lavoro, la nostra casa, i nostri amici», ricorda Hassan e aggiunge: «Produrre sapone è tutto quello che so fare, da 35 anni».

Prima del conflitto, per il saponiere di Aleppo era anche possibile esportare i propri prodotti all’estero e tuttora non deve rinunciare a farlo. Con Samir Constantini, nel 2004 fonda Alepia, una piccola fabbrica di sapone nella periferia di Aleppo. La guerra sembra inizialmente avere la meglio, ma i due riescono a tenersi in contatto e Samir propone ad Hassan di raggiungerlo in Francia, dove cercare di rimettere insieme i brandelli delle proprie vite.

Il sapone prodotto fuori dalla città siriana può comunque essere definito sapone di Aleppo? Per fortuna è così, dal momento che la denominazione sapone di Aleppo fa riferimento al metodo di produzione, intriso con i segreti tramandati di generazione in generazione, non al luogo di produzione.

«È lo stesso sapone, con gli stessi ingredienti e lo stesso processo produttivo svolto da rinomati maestri saponieri di Aleppo»

Sapone di Aleppo

Le piccole differenze sono solamente due. Per prima cosa, l’olio di oliva è magrebino e non siriano, ma avrebbe delle caratteristiche molto simili a quest’ultimo. L’olio di alloro senza il quale il sapone di Aleppo sarebbe tutt’altra cosa continua invece a provenire dalle foreste turche, come precedentemente al conflitto. In secondo luogo, una volta raggiunta la temperatura di 110°C il composto di sapone viene versato in stampi di legno e tagliato in saponette quadrate con l’ausilio di una macchina artigianale dopo 24 ore di solidificazione, anziché essere versato sul pavimento e tagliato a mano come vuole la tradizione di Aleppo. Siamo disposti a questo e ben altro pur di vedere la tradizione continuare a vivere.

Trattandosi del sapone più antico della storia dell’umanità, salvare l’eredità del sapone di Aleppo significa salvare l’eredità del mondo intero. La tradizione più antica della Siria non deve sgretolarsi come i suoi edifici o spegnersi come la luce negli occhi delle sue genti. Finché la sua cultura esiste, la Siria non può morire.

 

Fonti:

http://www.repubblica.it/esteri/2016/12/20/foto/il_sapone_di_aleppo_prodotto_in_francia_a_parigi_secondo_la_tradizione_siriana-154536993/1/#2

http://uk.reuters.com/article/uk-syria-france-aleppo-soap-idUKKBN14F0M5?il=0

http://en.rfi.fr/france/20170131-alepo-soap-finds-refuge-france

https://www.ideegreen.it/sapone-di-aleppo-63482.html

Crediti immagini:

Immagine 1, Immagine 2, Immagine 3

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