Giochi da bambini

Di Sharp

– A come austroungarico. Disse Maggy.
– B come beota. Fece eco Simon.
– C come capra svizzera. Ribattè Maggy.
– D come do cazzo stai. Rise Simon.
Giochi da bambini. E dopo l’uscita del ragazzo anche Maggy scoppiò nella sua sonora e piuttosto imbarazzante risata. Ma non importava che fossero ad un tavolino di un bar da turisti in Via Torino, a lei no di sicuro.
Simon la guardò storto: odiava la risata dell’amica e odiava essere guardato dalle persone circostanti, voleva ad ogni costo mantenere il suo decoro petit bourgeois, il suo mondo, di cui mai si sarebbe liberato.
Maggy al contrario di lui era sguaiata, plateale, volutamente anticonformista ad ogni costo, contro a tutti i costi. Contro cosa? E’ presto detto, la morale petit bourgeois! Anche se la famiglia di lei era benestante e benpensante…decisamente benpensante. La sua famiglia si riduceva al padre.

Erano amici fin da piccolissimi.
Lui, Simone, aveva un anno in più, ma Margherita aveva fatto la primina, pertanto erano finiti a scuola insieme.
Erano stati compagni di scuola, compagni di giochi, compagni di letto, nel senso che avevano condiviso anche quello almeno un milione di volte da ragazzini.
La mamma di Maggy era scappata di casa lasciando un padre medico e la piccola di quattro anni, mentre la mamma di Simone era manager in una grande azienda farmaceutica multinazionale, pertanto si assentava per settimane intere lasciando il piccolo ed il padre ingegnere soli soletti.
I due bimbi avevano fatto amicizia fin da subito e i padri li avevano lasciati fare, anzi avevano incoraggiato l’amicizia sperando che potesse colmare il vuoto lasciato dalle rispettive madri.
Ma un vuoto non colma un altro vuoto, giacché due vuoti sono solo un vuoto al quadrato.
Erano due giocattoli rotti, ad entrambi mancava qualcosa.
Ad entrambi mancava la stessa cosa.
Ma avevano reagito in modo diverso: lei con la sindrome da crocerossina, voleva compiacere il prossimo per il quale prodigava ogni suo respiro, lui chiudendosi alla vita, come suo padre.
– Beh, allora, a Paris IV è tutto meraviglioso, anche le occupazioni, sono seri anche in quello. Non hai idea che effetto les flics in tenuta anti–sommossa… iniziò a raccontare Maggy. Aveva vinto una borsa Erasmus presso la prestigiosa Paris IV convincendo il professore responsabile dei colloqui a mandarla perché voleva salvare il mondo, lui doveva essersi commosso di tanto buon cuore.
– E poi, poi non hai idea delle persone! Continuò lei.
– Ho conosciuto questo ragazzo, sta facendo il dottorato in Lettere, più o meno quello che voglio fare io, ma lui è molto più avanti, a parte che è più grande. E’ francese, si chiama Marc e sa…beh sa praticamente tutto! Io gli…
– Non mi interessa. Fece brusco Simon.
Lei restò boccheggiante, letteralmente con la bocca aperta, come per voler proseguire il suo discorso.
Certo, anche Maggy avrebbe potuto prevedere una reazione del genere.
Ma non era stato proprio Simone a darle picche prima dell’estate?
Il loro era un amore che sarebbe durato per sempre, eppure un amore guasto.
Erano i due lembi di una camicia strappata, combaciavano perfettamente ma nulla avrebbe potuto ricucirli com’erano prima dello strappo.
Due vuoti sono solo un vuoto al quadrato.
Nessun bimbo gioca con due giocattoli rotti, può accettarne al massimo uno.
Una camicia strappata non si ricuce, non alla perfezione.
Margherita aveva aperto il suo piccolo cuore di ragazzina picchiata dalla vita al suo migliore amico, Simone, prima della partenza che avrebbe cambiato la sua vita, le loro vite. Si era inginocchiata al bar La Martesana, il loro bar, dove avevano fatto le più belle merende della loro vita con le tate, una pasticceria.
Lei si era inginocchiata davanti a tutti, adorava fare scene plateali, lei era una drama queen, come le era stato detto al soggiorno estivo a Dublino.
E così, da queen of drama si era inginocchiata, gli aveva preso la mano, mentre lui la guardava come se avesse visto la Madonna, anche lui: sì anche lui era innamorato ma non era in grado di amare.
Lei, stando sul ginocchio destro, con la mano di lui tra le sue piccole, gli aveva detto tutta seria: – Ti amo. Amami anche tu, ‘cause the best thing is to love and to be loved in return.
Lui, guardandola dritto negli occhi, l’aveva fatta alzare sollevandola quasi da terra con il suo braccio forte, prendendole quel suo braccino minute, esile.
L’aveva baciata con rabbia, con passione, con foga, la foga di chi ha voglia di torta da ventun’anni ed è da ventun’anni che se ne priva.
Torta.
La torta per uno a dieta.
Questo era Margherita nello stomaco di Simone.
E dopo quel bacio rabbioso, l’aveva presa per i capelli, uno strattone secco, non forte, per allontanarla da sé.
– Non ti amo, sappilo. Questo le aveva detto dopo averla baciata.
Non pensava, non rifletteva sui suoi comportamenti, quindi non poteva nemmeno dirsi pentito a distanza di mesi.
Sapeva solo che la vita faceva schifo da quando Margherita se n’era andata, ma lui non era arrivato ancora ad ammetterlo a se stesso.
E sapeva anche che ogni qual volta lei gli parlava di un altro ragazzo, di un altro uomo, ma anche di una cara amica, sentiva la rabbia montare. Rabbia, disprezzo, invidia, rissa, avrebbe voluto fare una rissa e prendere a pugni ogni persona avesse potuto catturare l’attenzione di Maggy al di fuori di se stesso.
Rissa.
Botte.
Non aveva mai fatto a botte per lei.
Maggy, lei, lei sì che aveva rischiato di fare a botte per Simone.
Erano in un bar del centro, il Bar Magenta, Simone aveva trovato l’unico gruppo di tifosi della Roma e aveva iniziato a guardarli storto.
Il risultato fu che al primo gol segnato dalla Roma in quattro si fecero sotto al tavolo dei due amici. E lei, per lei non fu che un attimo, scattò in piedi, un arco riflesso, si mise a gridare con la sua vocetta acuta:
– Cosa volete??? Vi permettete di picchiare una donna???
Lei, Maggy, era lei il maschio alfa della coppia. Anzi della non coppia.
– Io ti, ti…ti ho portato un regalo. Disse Maggy a Simon mangiandosi le parole e mangiandosi le mani per essersi mangiata le parole. Quanto si sentiva goffa alle volte.
Simon sorrise beffardo.
– Dai qua dai.
E le strappò di mano un pacchettino quasi cubico, avrebbe potuto essere una scatola che conteneva dei gemelli, o un anello.
In Francia aveva mangiato all’Epifania la galette des rois, una torta millefoglie al marzapane che aveva trovato squisita: l’aveva cucinata Luois, il cuoco dello studentato.
E il suo anno a Parigi era squisito come quella galette, l’anno più bello di tutta la sua vita: nuove culture, nuovi amici, danza ogni giorno sull’isola. Sì, viveva sull’Ile de Saint Louis, in mezzo alla Senna, l’isolotto affiancato a l’Ile de la cité dove si trova Notre dame. Lei e le sue nuovissime amiche vivevano in uno studentato in pieno centro e in mezzo alla Senna: Maggy adorava i corsi d’acqua e l’acqua in generale, era il suo elemento. Vivevano in quella che avevano ribattezzato the virgin fortress, la fortezza delle vergini, uno studentato internazionale per ragazze giovani, ragazze soltanto, banditi gli uomini.
Nonostante fosse cresciuta in mezzo a due uomini, Maggy si trovò a meraviglia.
E quella vittoria fu il coronamento del suo sogno d’oltralpe.
Vinse la ‘moneta’ della galette de rois!
Vuole la tradizione che in ogni galletta venga messa una moneta o qualcosa di simile: chi, mangiando la torta, trova la moneta nella propria fetta di torta è il re della festa e deve scegliere la sua regina o viceversa.
Per Maggy, assai sfortunata tanto in gioco quanto in amore, vincere quel pezzetto di terracotta a forma di gelato era stato simbolico: scappando di casa Maggy aveva vinto la vita.
Staccandosi da Simone che la tiranneggiava e non era in grado di amarla, si era liberata di un grosso fardello e ci aveva guadagnato in autostima.
Si era resa conto di essere degna di un amore vero.
Si era resa conto che, per quanto goffa e buffa e chiassosa e invadente, lei era in grado di dare, Simone no.
E aveva deciso di dare il suo pegno di felicità in terracotta alla persona che più l’aveva condotta su quella strada: Marc.
Ma vedendo Simon così arrabbiato aveva deciso di placarne l’ira con quel dono inusuale, quel gioco da bambini.
Ma quel dono era destinato a Marc.
Marc, che l’aveva colpita così tanto fin dal primo sguardo.
Marc, che l’aveva capita così tanto fin dal primo sguardo: lei, incapace di effusioni con ragazzi che le interessavano, la prima volta che dovettero salutarsi dopo un caffè disse secca: – Io non do baci sulle guance, scusa.
– Né i passerotti sanno volare appena nati.
Ora, qualsiasi altra creatura avesse osato paragonare, lei, una cucciola di tigre bianca ad un indifeso passerotto non l’avrebbe passata liscia. Ma lui, lui poteva, oh sì che poteva. L’aveva pronunciato così delicatamente, les passerots…che lei si era sentita davvero l’uccello fragile che era; lui l’aveva guardata con quel suo sorriso buono e un poco saccente, di padre che conosce la propria bambina.
Lui la migliorava, la faceva sentire più donna, più Margherita, più vera.
Lei era ancora troppo giovane per accorgersi che quello era amore, amore vero, tensione al bene ed al miglioramento di sé, giacché questo è l’amore universale.
E lui, lui la correggeva così tanto, ogni parola sbagliata, ogni accento, e lei docile si lasciava correggere.
Simone aprì il pacchettino e ne guardò il contenuto quasi schifato.
– Ti ricordi la storia della galette de roi, Simone?
– Sì, e…?
– E nulla quella è la ‘moneta’!
– Ah…fece lui sardonico, si alzò di scatto e accostatosi al cestino buttò dentro il dono di Maggy, si rimise a sedere al tavolino e si accese una sigaretta con forzata nonchalance.
Margherita piangeva e il trucco iniziava a colare dai suoi occhioni azzurri, l’highliner nero tutto impastato perché lei tentava di asciugarsi le lacrime copiose.
Ma nel cuore non c’erano più solo croci.
Sentiva un tepore dolce, che la tranquillizzava: se solo avesse dato il regalo alla persona giusta.
Ma il grande amore conosce più di un’occasione, avrebbe rivisto Marc di lì a qualche giorno.

Sharp

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