Selezioniamo cosa ricordare: l’obsolescenza programmata delle informazioni

di Francesca Gentile

Vi siete mai chiesti per quale motivo sappiamo ancora recitare a memoria l’elenco degli affluenti del Po imparato tra i banchi delle elementari, ma non ricordiamo con esattezza quale sia il weekend in cui il nostro amico darà la sua festa di compleanno? «Elementare, Watson!», direbbe Sherlock Holmes.

Una possibile risposta a questo quesito amletico potrebbe proprio essere rintracciata tra le pagine di Uno studio in rosso, famigerato romanzo giallo di Arthur Conan Doyle con protagonista l’altrettanto celebre detective, sempre spalleggiato dal suo fedele assistente Watson. Già nella prima pubblicazione che lo vede come protagonista, Sherlock dà subito prova del suo acume spiegando all’amico quella che sarebbe stata conosciuta ai più come la teoria della soffitta.

Nello scoprire che la cultura del tanto ammirato detective eguagliasse la sua ignoranza, soprattutto in fatto di letteratura, politica e filosofia, l’autore descrive in questo modo lo stupore di Watson:

«La mia meraviglia giunse al colmo quando scoprì casualmente che ignorava la teoria di Copernico nonché la struttura del sistema solare. Il fatto che un essere civile, in questo nostro XIX secolo, non sapesse che la Terra gira attorno al Sole mi pareva così straordinario che stentavo a capacitarmene.»

Come poteva un uomo di tanta genialità come Sherlock Holmes non essere a conoscenza di una teoria di tale portata per l’intera umanità? È quello che scopriamo dal dialogo intrattenuto tra i due:

«– Ora che mi ha insegnato queste cose, farò del mio meglio per dimenticarle.
– Per dimenticarle?
– Vede – mi spiegò – secondo me, il cervello d’un uomo, in origine, è come una soffitta vuota: la si deve riempire con mobilia a scelta. L’incauto v’immagazzina tutte le mercanzie che si trova tra i piedi: le nozioni che potrebbero essergli utili finiscono col non trovare più il loro posto o, nella migliore delle ipotesi, si mescolano e si confondono con una quantità d’altre cose, cosicché diventa molto difficile trovarle. Lo studioso accorto invece, seleziona accuratamente ciò che immagazzina nella soffitta del suo cervello. Mette solo gli strumenti che possono aiutarlo nel lavoro, ma di quelli tiene un vasto assortimento, e si sforza di sistemarli nel miglior ordine. È un errore illudersi che quella stanzetta abbia le pareti elastiche e possa ampliarsi a dismisura. Creda a me, viene sempre il momento in cui, per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna appresa in passato. Per questo è molto importante evitare che un assortimento di fatti inutili possa togliere lo spazio di quelli utili.
– Ma qui si tratta del sistema solare – protestai.
– Che me ne importa? – m’interruppe impaziente Holmes. – Lei dice che noi giriamo attorno al Sole. Se girassimo attorno alla Luna non cambierebbe nulla per me o per il mio lavoro.»

Persino una personalità di spicco come Albert Einstein sembra aver difeso a spada tratta questa teoria. A un giornalista, sbalordito per il suo rifiuto di imparare a memoria il proprio numero di telefono, replicò molto seriamente che il suo cervello era troppo prezioso per essere occupato con numeri che avrebbe potuto benissimo scrivere sulla sua agenda. Proseguì affermando con convinzione che solo uno sciocco l’avrebbe intasato con dati del tutto inutili.

Il concetto di obsolescenza programmata, vero e proprio cruccio delle macchine moderne, sembra quindi poter essere applicato all’ennesima potenza per la mente umana. Se questa è una stanza dalla capienza ben limitata, risulta immediata la necessità di operare una selezione in ingresso delle informazioni che vi entreranno. A differenza di quanto accade per gli elettrodomestici, però, in questo caso non esistono dati che trovano collocazione nella stanza per un periodo limitato di tempo e poi scompaiono immediatamente: la logica selettiva è ancora più spietata, essendo operata a priori sull’uscio della porta. Per fare un esempio più concreto, se ci accorgessimo che lo yogurt appena acquistato al supermercato fosse scaduto da giorni, questo finirebbe direttamente nella spazzatura, senza nemmeno essere posizionato temporaneamente tra i cibi ancora freschi. Se invece non ci accorgessimo della sua data di scadenza ormai passata, il nostro yogurt troverebbe posto tra i ripiani, occupandoli inutilmente, creando disordine, togliendo spazio ad altro e rendendo necessario un successivo sforzo in termini di tempo e “fatica” per eliminarlo.

D’altronde, quando guardiamo il mondo che ci circonda selezioniamo costantemente le informazioni rilevanti in mezzo ad altre a cui attribuiamo minor valore. Identificare l’informazione che fa al caso nostro è fondamentale soprattutto quando ci troviamo a svolgere attività complesse, in cui gli stimoli sono molteplici. Così, al volante, non sarà indispensabile rendersi conto che la cassa del venditore al margine della strada contiene arance, se nello stesso momento è presente un dato che necessita di una maggiore dose di attenzione, come un pedone che sta attraversando la strada. Se questo secondo stimolo non fosse presente, la nostra attenzione sarebbe invece attratta esclusivamente dalle arance e forse ci verrebbe anche voglia di una bella spremuta. Questo ci permette di capire che selezioniamo ciò che è rilevante qui ed ora.

Ma come fa il nostro cervello ad acquisire e selezionare in modo così accurato e veloce le informazioni che lo bombardano costantemente? Come separa le informazioni importanti da far entrare nella soffitta e quelle da lasciare fuori?

Per rispondere a queste ed altre domande, i ricercatori del Centro Mente e Cervello (CiMeC) dell’Università di Trento hanno condotto uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Journal of neuroscience. I ricercatori coinvolti nel progetto hanno chiesto ai partecipanti di individuare determinati oggetti o persone tra dozzine di altri elementi all’interno di centinaia di fotografie che ritraevano scene di vita reale. Lo studio ha rivelato che ciò che ai volontari era stato chiesto attivamente di cercare si staccava in qualche modo dal contesto. Per esempio, se la richiesta fosse stata di individuare una macchina gialla in un’immagine con molteplici automobili e persone, nel cervello della persona impegnata nella ricerca i segnali celebrali operavano come se le persone non fossero state effettivamente presenti.

La portata della ricerca è sorprendente: il cervello attribuisce in modo dinamico delle priorità alle informazioni che in quel momento sono rilevanti e concede a queste e solo queste il privilegio di essere stipate in soffitta.

 

Fonti: foto1 foto2

Cosa imparare e cosa dimenticare, ovvero la teoria della soffitta di Holmes

http://webmagazine.unitn.it/news/ateneo/11394/chi-cerca-trova-ecco-come-funziona-l-attenzione-selettiva-nel-cervello

http://www.unostudioinholmes.org/einstein.htm

 

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