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“STONER”, O IL MIRACOLO DELLA SCRITTURA

Alla sua pubblicazione nel 1965, Stoner, terzo romanzo di John Williams, non riscosse successo.  Solamente una quarantina d’anni dopo, nel 2003 e a poca distanza dalla morte del suo autore, Stoner venne ripubblicato diventando in breve tempo un bestseller e un caso letterario. La sua comparsa in Italia avvenne solo nel 2012, pubblicato da Fazi Editore nella traduzione di Stefano Tummolini e accompagnato da un’illuminante postfazione di Peter Cameron.

E’ un romanzo dalla lettura veloce e forse per questo rischia di essere letto con troppa superficialità con l’inevitabile pericolo di ridurre la vita del protagonista, William Stoner, ad uno sterile svolgimento cronologico di fatti più o meno banali e per nulla eccezionali.

Una volta girata l’ultima pagina di Stoner, però, accade qualcosa di inspiegabile e il lettore rimane come fulminato. Ci si accorge che, nonostante lo stile lineare e semplice come la trama, qualcosa si è mosso e ha urtato contro la nostra sensibilità. Stoner, un uomo mediocre come se ne incontrano tanti sul tram o per le strade delle nostre città, riesce a catturare l’attenzione del lettore fino alla commozione, lo prende per mano per accompagnarlo attraverso le pieghe della propria esistenza fino ai segreti più profondi di qualsiasi vita.

Stoner è un romanzo di formazione. John Williams usando una terza persona distante, che solo in pochi emblematici momenti sembra farsi più partecipe e commossa, ci racconta dell’uomo che fu William Stoner: figlio di una coppia di contadini del Missouri, dopo aver assistito casualmente ad una lezione di Letteratura Inglese, decide di abbandonare la facoltà di Agraria per iscriversi a Lettere.

Se, come scriveva Borges, il destino di un uomo si realizza nel preciso momento in cui l’uomo capisce chi è, Stoner determina con questa scelta quella che sarà la sua vita legandola indissolubilmente all’università. Dopo un’infanzia alienata trascorsa sui campi, Stoner si apre così alla vita universitaria facendo la conoscenza di quelli che saranno i suoi unici due amici. Sullo sfondo di una distante ma sofferta Prima guerra mondiale, Stoner prosegue i suoi studi finchè non gli viene offerta la possibilità di una carriera accademica.

Inoltre, dopo un rapido e imbarazzato corteggiamento, sposa l’unica ragazza per la quale abbia mai provato una forma di attrazione, ma il matrimonio si rivelerà complicato e sentimentalmente impalpabile, solo in parte impreziosito dalla nascita della figlia. Un litigio con un superiore comprometterà la sua carriera accademica negandogli qualsiasi possibilità di promozione. Soltanto l’amore, totalmente ricambiato e appassionato per una studentessa sapranno infondere in Stoner una vitalità a lui sconosciuta, anche se per breve tempo. La sua vita proseguirà senza regalargli soddisfazioni fino alla pensione e alla tragica fine.

Se si esclude il coraggio di alcune sue scelte, la vita di Stoner si presenta al lettore in tutta la sua mediocrità e tristezza e non sorprende che una vicenda così piatta e narrata con un linguaggio controllato abbia ricevuto una fredda accoglienza alla pubblicazione.

Eppure Williams riesce a rendere appassionante la desolata vicenda di Stoner poichè, come scrive Cameron nella postfazione all’edizione italiana, “si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e la vita più silenziosa, se esaminata con affetto , compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria”. E la vita di Stoner ha tanto da raccontare nonostante il silenzio in cui è vissuta e l’indifferenza generale che la circonda.

John Williams ha dimostrato con il suo libro umile e senza pretese che ogni vita, per quanto insignificante possa mostrarsi ai nostri occhi, nasconde una fonte segreta di sentimenti, di passione e di amore e che ogni esistenza si assomiglia nelle tensioni che la animano.

L’autore ha dimostrato uno dei tanti poteri della scrittura, forse proprio quello più miracoloso e inspiegabile: la possibilità, cioè, di intravedere un’eroica profondità in ogni esistenza e di rendere universale il quotidiano, narrabile l’inenarrabile, eroico il mediocre.

credits

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