Il giallo sale in cattedra

Paradossalmente i gialli servono a rassicurare il lettore.
La tranquilla situazione iniziale viene sconvolta da un evento negativo: omicidio, rapimento, rapina.
L’ordine si frantuma, le certezze vacillano e i sopravvissuti all’evento (siano essi all’interno o all’esterno del romanzo, protagonisti o lettori) si sentono esposti al pericolo. Questo è il momento in cui fa la sua comparsa l’investigatore. Indagare può essere il suo mestiere, come nel caso del famoso Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, o elemento della sua indole, come per Miss Marple, la vecchietta impicciona figlia di Agatha Christie. Solitamente è un personaggio che si districa tra indizi e sospetti, si muove attraverso deduzioni e intuizioni e razionalmente ricostruisce quanto è avvenuto. La ragione è proprio la sua caratteristica principale. Grazie a questa è in grado di ricostituire l’ordine iniziale o portare alla creazione di una nuova situazione stabile, tranquilla, pacifica. Attraverso l’intelletto dimostra agli altri attanti come sia possibile sconfiggere il male e condurre al trionfo del bene. Il lettore per questo stesso motivo si appassiona ad un genere che è il trionfo del cervello e dell’uomo, un uomo capace di commettere atroci misfatti, un uomo possibile vittima e possibile colpevole, ma anche possibile risolutore. Quest’ultima è la speranza a cui ci si aggrappa e così la letteratura crime da manifestazione del negativo diventa rassicurante esibizione del positivo.
Il generico termine crime non trova corrispondenza tra gli scaffali delle librerie francesi e italiane.
Nelle prime, infatti, è più diffusa l’etichetta “noir”; nelle seconde “giallo”.
Il termine nostrano è quello che più di tutti si distacca dalle tinte fosche del genere e prende il via dall’omonima collana Mondadori avviata nel 1929. Con questa denominazione si racchiudono i testi che rispettano il canone precedentemente descritto: delitto, investigatore e scoperta del colpevole.
Sono sostanzialmente trame a lieto fine.
Noir, invece, si è trasformata in una definizione elastica, pronta a raccogliere sottogeneri e diversità, con la sostanziale matrice comune di un maggiore gusto per l’orrorifico, la presenza dell’irrazionale, la negazione di ogni possibile rassicurazione.
I libri gialli sono tra i più letti, in Italia e non solo, e la loro produzione aumenta considerevolmente.
Entrano di diritto tra i best-seller, ma fino a pochi anni fa non erano considerati altro se non letteratura di intrattenimento, di secondo piano. Erano libri da spiaggia, da leggere in treno o sotto l’ombrellone, non godevano del prestigio concesso alla narrativa.
Nel 1980, con la pubblicazione de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, al mistero si aggiungono elementi del romanzo storico, dell’epica, dell’erudizione. Al pubblico si palesa una possibile coesistenza dei generi reputati “alti” con il giallo. La cosiddetta “narrativa di genere” è, quindi, riuscita ad affermarsi, a nobilitarsi, ad essere al centro di studi critici che la analizzano. Diventano oggetto di ricerca i suoi luoghi, le metropoli o i piccoli paesi, il rapporto con la città. Sono studiati persino i cibi, l’amore o il disinteresse che l’investigatore ha per essi (celebre è il caso degli arancini di Montalbano, commissario ideato da Camilleri). Questa riconsiderazione è anche alla base della proliferazione del genere, una legittimazione all’acquisto.

I gialli diventano i nuovi classici.

 

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