Storia di una ragazza fallita

Z. è una ragazza fallita; una delle tante, s’intende, che non è mai riuscita a raggiungere i propri scopi nella vita, mai; che sia per la mancanza di tempo, che sia per l’assoluta assenza di coraggio che la fa dubitare di tutte le cose, che sia per l’incapacità di gestire se stessa e il mondo, relazioni comprese, non riesce a essere padrona della propria vita. Vive in uno stato di continua alienazione e le cose, il cielo, le case, i volti per lei non esistono. Z. è platonica: pensa di essere un’idea, non un corpo, e come tale si comporta: per lei tutto ciò che vale è incorporeo, ideale, ha un’esistenza superiore che si stacca come una crosta dalla terra dove tutti vivono e abitano. In fondo, forse crede di essere un po’ superiore; questa è l’unica consolazione che ha, anche se sa benissimo di non essere affatto speciale. L’unica cosa che le rimane, dopo tutti questi anni lacrimosi, è il primato del fallimento. In quello, sì, è decisamente inarrivabile.
Z. ha 21 anni e studia all’università: ha una media invidiabile, ma un’esistenza non altrettanto piacevole. Z. appartiene a quella schiera di creature quasi dantesche, forse più simili ai mostri dei dannati che agli umani, che viene divorata a ritmo cadenzato da un parassita che si appiccica alla mente, al collo, e inizia a succhiare forte le speranze. Z. soffre di ansia da anni; alle superiori Z. passava i pomeriggi, soprattutto i primi anni, a studiare più di sei ore. Tornava a casa alle 13.20 e alle 14.05 iniziava ligia ligia a mettersi sui libri, in camera, a volte sopra il letto, a volte appoggiandosi alla scrivania accanto al computer, dando le spalle alla finestra. Ma Z. non dava le spalle solo alla finestra: Z. voltava le spalle ai suoi quindici anni, ai suoi anni dell’adolescenza. Z. non aveva altro che lo studio e tutto ciò che le rimaneva era il voto dei professori. Z. è una ragazza che non è mai stata adolescente: è cresciuta subito, dopo le medie, ed è diventata una ragazza senza passare attraverso lo stadio della prima giovinezza. Così sempre, senza pause, senza giorni di riposo: si beccò, una volta, una bella bronchite che le durò (postumi inclusi) un mese a causa di tutto questo.
Ora Z., come detto sopra, va all’università; ha avuto alcune soddisfazioni nella sua carriera universitaria, ma vuole sempre di più da se stessa. L’altra settimana Z. è stata male, questa settimana va ancora peggio e non sa cosa fare del poco tempo che le è rimasto a disposizione. Non riesce a fare nulla, si dimentica le cose, vive in un perpetuo stato di agitazione e vorrebbe uscire la sera, guardare un film, fare una camminata, incontrare le amiche. Z. vorrebbe ridere, ma per adesso non conosce la forza per farlo: la sua schiena è curva e ha quasi la gobba, così lei pensa, siccome si vede come una gemella di Leopardi, più fallita di lui – senza dubbio. Z. a volte mi parla e dice solamente: “Io non ce la faccio; non sono forte come dico di essere, quella è solo una facciata. Il mio cuore è debole, assai debole, e i miei occhi sono stanchi di vedere che niente vada bene.”
Conosco Z. da anni ormai, eppure mi pare sempre che io non sappia chi sia; è diversa ogni volta, è sfuggente, vive di rimorsi e ricordi e si attorciglia la vita come un gomitolo di spago. Guardando nei suoi occhi tristi e spenti io rimango basito: è bella, ed è abbruttita dai pensieri che ha. Trovo che il suo fallimento abbia un fascino che la realizzazione non possiede: il fallimento è la condizione assoluta di ogni essere umano, nonché la primaria condizione di Z. Le persone che falliscono sono come i gatti neri, pensa Z.: “I falliti hanno una loro utilità, perché ricordano agli altri cosa significhi vivere male. I falliti, in fin dei conti, fanno sentire meglio le altre persone. I falliti sono i gatti neri della vita di tutti; hanno del comico, pure. Con le loro unghie feline si aggrappano a tutte le superfici, soprattutto ai vetri e ai muri verticali, cadendo sempre miseramente a terra. In loro vive l’umorismo; sì, quello di Pirandello! Riempiono tutti con una sorta di catarsi fallimentare. Sono la sfiga che nessuno vorrebbe avere.”
E Z., mi vien da dire, ha ragione.

 

 

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