Premio Nobel alla Letteratura a Grazia Deledda (1926)

«Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e calore tratta problemi di generale interesse umano. » (Motivazione espressa in occasione del Premio Nobel ).

Grazia Deledda è stata una scrittrice italiana e una donna di straordinaria statura intellettuale, ma non tutti conoscono la sua identità e solo pochissimi, per lo più cultori o appassionati di letteratura, sanno che fu vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926.

Chi era Grazia Deledda? Conosciamola insieme!

Grazia Deledda nacque a Nuoro il 27 settembre 1871 da una famiglia benestante. Il padre Giovanni Antonio Deledda aveva studiato legge, ma tra le tante cose si interessava di poesia; fondò una tipografia e si diede a stampare una rivista. Il clima culturale in cui la giovane Grazia Deledda crebbe fu, dunque, molto stimolante. La sua formazione fu quasi totalmente da autodidatta, frequentò la scuola fino alla quarta elementare e solo per un breve periodo venne seguita da un professore privato che le impartì lezioni di italiano, latino e francese.

Fondamentale e importante fu l’amicizia con Enrico Costa, archivista e dilettante poeta che ne apprezzò e ne intuì fin dalla giovinezza il talento. Iniziò la sua carriera inviando a Roma alcuni racconti, Sangue Sardo e Remigia Helder, pubblicati sulla rivistaL’ultima moda”, dove venne pubblicato a puntate uno dei suoi primi romanzi, Memorie di Fernanda con un buon consenso da parte del pubblico.

Nel 1890 collaborò con il quotidiano di Cagliari L’avvenire della Sardegna pubblicando a puntate il romanzo Stella d’Oriente usando lo pseudonimo Ilia de Saint Ismail. Prendendo contatti con l’editore Trevisini, pubblicò a Milano una raccolta di novelle per l’infanzia dal titolo Nell’azzurro.

In questi anni Grazia Deledda comincia a farsi conoscere anche in ambiente letterario ricevendo l’approvazione di molti scrittori ed intellettuali, intrigati dalla profondità della scrittura della scrittrice. Nel 1896 il romanzo La via del male fu recensito molto positivamente da Luigi Capuana, scrittore, critico letterario e tra i più importanti sostenitori e teorici del Verismo.

Nell’ottobre del 1899 la scrittrice si trasferisce a Roma: sono questi gli anni della maturità della scrittrice sotto il profilo privato e pubblico. In questi anni vennero alla luce una serie di romanzi e opere teatrali destinate ad un grande successo, quelle stesse opere che probabilmente gli valsero l’importante riconoscimento del Premio Nobel. Ricordiamo alcuni titoli: Cenere (1904), da cui addirittura venne tratto un film interpretato da Eleonora Duse, l’Edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L’incendio nell’oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922). Ricevette il grande apprezzamento dei veristi, tra cui Giovanni Verga, ma anche scrittori del calibro di Enrico Thovez, Emilio Cecchi e Antonio Baldini, ma anche opinioni contrarie come quella espressa dal critico Benedetto Croce che la tacciò di ‘regionalismo sentimentale’.

Nel dicembre del 1926 le venne conferito il Premio Nobel per la Letteratura, unica scrittrice italiana ad aver ottenuto questo importante riconoscimento. Un tumore al seno la spense nel 1936 a Nuoro. Le sue spoglie sono conservate in loco in una chiesetta ai piedi del monte Ortobene.

La critica tende a inserire Grazia Deledda nell’ambito del verismo e della letteratura regionale sarda. Molti riconoscono l’originalità della sua poetica e preferiscono non inserirla in nessuna corrente ben definita. L’amore per la sua terra la portò a descriverla in tutta la sua rustica arretratezza, al punto tale da attirare su di sé le antipatie di molti, soprattutto dei suoi conterranei che non compresero l’esperimento scritturale portato avanti dall’autrice sarda.

D’altronde temi principali delle sue opere furono l’etica e la struttura patriarcale della società sarda e l’ambiente rurale e selvaggio di questo territorio che Grazia ben conosceva. Ma anche il fato, ineluttabile e superiore rispetto al libero arbitrio dell’uomo, come si evince chiaramente in Canne al vento. Ma anche il peccato e la colpa che aleggiano in tutte le sue storie, quasi come se i suoi personaggi dovessero continuamente, proprio perché ne hanno coscienza, espiare e discolparsi dai peccati commessi. Da questo punto di vista, la vita dell’uomo appare fatalmente segnata dalla continua lotta tra il bene e il male e le sue figure vivono sino in fondo questo dissidio interiore.

Una figura e una scrittrice che sa affascinare, capace di regalare atmosfere aspre e folgoranti. Una letteratura impegnativa che fa appassionare, specie perché i paesaggi incontaminati e selvaggi che fanno da sfondo a storie di fatica, di dolore, di amore e di riscatto, fanno nascere in ognuno l’amore per la natura. I paesaggi, infatti, si fondono con gli stati d’animo, di volta in volta diversi, dei personaggi. L’atmosfera mitica, a tratti incantata, dipinta da Grazia Deledda, trasporta ciascuno in luoghi impervi ma impregnati del profumo dei gelsomini e dal susseguirsi di piante, uliveti e distese incontaminate. Le sue opere permettono al lettore di riscoprire il senso più autentico della vita, un’autrice che va rivalutata e  restituita al pregio che le spetta.

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