Plumpy’Nut: la super Nutella che cura la malnutrizione

Fin dagli anni Novanta il latte terapeutico è stato utilizzato come soluzione principale alla malnutrizione acuta grave. Esso però presentava alcune complicazioni: il latte in polvere presuppone l’utilizzo dell’acqua e ciò diventava problematico in contesti di paesi dai climi caldi e con un accesso limitato ad acqua potabile non contaminata.

Michel Lescanne si interessò fin da giovane ai problemi della fame e della malnutrizione. Dopo aver studiato ingegneria agricola, iniziò a lavorare nell’azienda di famiglia dove realizzò un biscotto secco nutriente contro la malnutrizione. Nonostante i 6 milioni di biscotti distribuiti nel Sahel (Africa Centro Settentrionale) dalla Croce Rossa francese, l’azienda di famiglia decise di non proseguire con la produzione. Imperterrito, Michel decise di non abbandonare il suo sogno e nel 1986 fondò la Nutriset.

Nel 1996 arrivò la svolta. Insieme ad André Briend, nutrizionista pediatrico dell’Istituto Francese di Ricerca per lo Sviluppo, Michel Lescanne riuscì finalmente a sviluppare la formula magica: una pasta simile a un panetto di burro, composta da farina di arachidi, olio, zucchero, latte in polvere, con aggiunta di sali minerali e vitamine, confezionata in panetti da 92 grammi, con un apporto calorico di 500 kilocalorie. Questo alimento venne chiamato Plumpy’Nut, banalmente soprannominato la “Nutella dei poveri”. Si trattava del primo cibo terapeutico pronto all’uso, Ready-to-Use Therapeutic Food (RUTF), per la riabilitazione nutrizionale di bambini a partire dai sei mesi, e adulti.

Si trattò di una rivoluzione. La bellezza di Plumpy’Nut consisteva nella sua semplicità: non doveva essere diluito in acqua pulita per essere ingoiato, non aveva bisogno di essere preparato o conservato in frigoriferi, non necessitava di personale altamente qualificato, rimaneva fresco dopo l’apertura e poteva essere ingerito dai bambini direttamente dalla confezione, senza complicazioni igieniche.

L’elemento poi che lo rendeva un vero successo era la facilità del trattamento: un bambino severamente malnutrito non era più costretto a un’ospedalizzazione. Poteva tornare tranquillamente a casa con la sua razione settimanale di Plumpy’Nut. Sarebbero stati poi necessari solamente dei controlli per monitorare gli sviluppi e per ricevere le ulteriori forniture di alimento. Tutto ciò contribuiva ad aumentare in modo sensibile il tasso di completamento della riabilitazione nutrizionale.

La popolarità del prodotto non fu immediata e ci vollero circa dieci anni per imporre il Plumpy’Nut nella lotta alla malnutrizione nel mondo: nel 1998 venne distribuito in larga scala da Medici Senza Frontiere (MSF) in Sud Sudan, dove si stava diffondendo una grave carestia; nel 2005 sempre MSF trattò con questo alimento circa 60.000 bambini malnutriti durante la crisi alimentare in Niger, ottenendo sempre risultati molto positivi.

Nel 2007, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’UNICEF hanno rilasciato una Dichiarazione congiunta all’interno della quale il Plumpy’Nut è stato indicato come prodotto raccomandato nel trattamento della malnutrizione acuta grave. Il mercato così decollò, principalmente grazie ad agenzie delle Nazioni Unite (UNICEF in primis) e ONG.

Il successo ha suscitato anche le prime critiche: alcune ONG hanno messo in discussione il monopolio di Lescanne sul Plumpy’Nut, il quale, poiché è coperto da brevetto, non può essere prodotto da nessun altro. Nutriset è stata infatti chiamata in giudizio per l’ammissibilità di questa esclusività e ciò ha suscitato diversi interrogativi sulla compatibilità dei brevetti in caso di aiuti umanitari e di risorse che possono essere considerate dei “salvavita”.

Prima ancora di vincere la causa, il 13 ottobre 2010 Nutriset ha annunciato che avrebbe consentito a ONG e produttori locali nei paesi in via di sviluppo l’accesso gratuito al loro brevetto, con l’obiettivo di promuovere l’imprenditorialità sostenibile e responsabile, mediante il programma PlumpyField. Ciononostante, alcune ONG sostengo ancora che il brevetto è troppo vasto e non permette ad altre aziende di produrre prodotti simili: ciò provoca un accesso limitato al prodotto salvavita, mentre Nutriset sta ricavando invece enormi profitti.

Ci sono tuttavia dei difetti in questo ragionamento: se per le aziende non ci fosse la possibilità di trarre profitto da invenzioni come il Plumpy’Nut grazie ai brevetti, nessuno incentiverebbe e finanzierebbe la ricerca per risorse salvavita come questa. Forse bisognerebbe permettere l’utilizzo di brevetti nei paesi sviluppati, ma non in quelli in via di sviluppo. Il caso Nutriset e Plumpy’Nut potrebbe avere delle implicazioni sui futuri investitori che potrebbero essere scoraggiati dall’investire tempo e denaro su beni simili. Plumpy’Nut ha salvato milioni di vite e sarebbe un peccato che un brevetto ostacolasse la diffusione di un prodotto fantastico come questo.


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