Questa volta

Quella volta lo avrebbe fatto, sarebbe successo davvero.
La prima volta che aveva sfiorato il pensiero del suicidio aveva cinque anni: guardò giù dal balcone e iniziò a chiedersi cosa ci fosse dopo la morte, voleva saperlo.
Prese la decisione sulla strada di ritorno dopo una gita fuori porta, un giorno festivo trascorso in compagnia della sua famiglia.
La sua famiglia non era composta da madre, padre e fratello ma da quelle cinque persone cui si sentiva legata con un fil di ferro da stomaco a stomaco, la sua casa erano quei cinque cuori. Era stata felice, la giornata radiosa e, come diceva lei, “a colori”: non vedeva i colori nella vita di tutti i giorni, la sua realtà era un’asfaltata grigia di ansia che le mordeva la gola a ogni risveglio.
La sensazione di pesantezza e morte l’assaliva ogni mattino verso le 7, prima del suono della sveglia. Riusciva ad assicurarsi il sonno solo grazie alle goccine trasparenti che la salvavano e riuscivano a garantirle la quiete notturna.
Era troppo pesante alzarsi ogni giorno, uscire da quel torpore caldo, pensare di avere 27 anni, vivere ancora con i genitori, avere un lavoro precario, un fidanzato precario, niente contributi pensione, niente mutuo, niente figli in arrivo.
Era pesante alzarsi e pensare che avrebbe dovuto ottenere tutto questo per essere parte della società, per essere normale.
Era pesante dover lottare per tutto questo dopo che la sua vita era stata spezzata da quattro ricoveri nei tre anni precedenti.
A che scopo?
Sentirsi libera per 8 ore di felicità a colori una volta ogni 15 giorni e ingoiare asfalto per la quasi totalità dei restanti?
Prese la decisione mentre era al volante.
Elisabetta guardava il paesaggio e commentava.
Margherita rispondeva appena e pensava con lucidità a tutto quello che avrebbe fatto quella sera.
Il suicidio sarebbe avvenuto al mattino.
Strano momento per suicidarsi, nei film lo scenario è sempre piuttosto scuro.
Ma il mattino era il momento peggiore, per Margherita e per tutti i depressi: il mattino, un nuovo giorno che ti ghigna sardonico in faccia dimostrandoti la tua inettitudine alla vita.
Arrivò a casa alle 22.
La tavola era ancora apparecchiata per lei.
Si fece la doccia prima di mangiare. A che scopo se sarebbe morta di lì a poche ore? Le dava fastidio l’idea di essere sporca.
Avrebbe potuto vuotare il frigorifero, alla faccia dei disturbi alimentari, la bilancia nemica non avrebbe visto le sue gambe muscolose l’indomani mattina. Non lo fece, le manie di controllo prevalsero e non si concesse nemmeno quel piccolo sfizio.
Insalata di pollo, 30 g di pane, un frutto.
Scrisse dei foglietti alle persone con cui sentiva maggiormente di doversi congedare.
Amava scrivere.
Scrivere era un pezzo del suo cuore.
Ma quando il grigio asfalto prevaleva nella sua vita non trovava di che scrivere, l’ansia per il futuro, per il mutuo, i bambini mai nati, il marito che non aveva, strozzavano ogni sua ispirazione come una garotta il collo di un martire. Cara Sabrina, sei la prima cui scrivo.
Non so come mi vedrai quando sarò morta, vorrei fossi la prima a vedermi perché sapresti come agire: spostare il corpo, chiamare l’ambulanza, un’azione dopo l’altra in lucidità.
So che lascerò un vuoto, ma tu al contrario mio sarai in grado di colmarlo.
Io senza di te non sarei in grado di esistere un solo giorno.
La mia roccia.
La mia spina dorsale.
L’amica, la confidente, la madre.
Mi hai ascoltata tante volte, mi hai vista tante volte disfatta e distrutta.
Accetta la mia debolezza, non sono forte come lo sei tu, anche tu sei una diversa come me ma a differenza mia non cerchi il plauso degli altri ma di te stessa.
Sei il mio orgoglio.
So che mi porterai sempre nel cuore e ne sono fiera.
Perché hai scelto me tra tutte?

Caro papà,
sono la tua ferita, la tua delusione, il tuo più grande amore.
Non sono il medico che avresti voluto ma un’insegnante fallita.
Non sono sposata a un ricco manager di finanza ma frequento un apprendista cuoco.
Non sono come tu mi vuoi.
Non sono come io mi vorrei.
Non ho più voglia di lottare.
Ho cercato in ogni uomo l’amore incondizionato che nutri per me, l’ho trovato una volta e l’ho lasciato uscire dalla mia vita con i miei comportamenti da ragazzina viziata.
Anche io ti ho amato infinitamente, padre tiranno, il veleno e la cura.
Il dolore più grande sarà il tuo.
Perdonami.
È l’ultima cosa che dovrai tollerare da me.

Caro Paolo, piccolo Paolo.
Sei l’amore grande che non voglio e non riesco a vivermi.
Non vedi quanto io sia piccola e fragile?
Come puoi pensare di avere una relazione alla pari con me?
Vorrei che mi portassi nella tua mano e che mi facessi scudo contro i mali del mondo.
Vorrei essere il centro del tuo universo, il Margherita centrismo.
Ma tu sei saldo sulle tue gambette magre.
Solido nella tua fragilità e indipendente.
Per te tutti gli uomini contano ma nessuno troppo.
Non sono all’altezza di questo.
Io voglio quel troppo.
Non mi preoccupa la tua reazione alla mia dipartita, per te la morte è un evento naturale, e quanti morti giovani ci sono stati nei romanzi che leggi, nei film che guardi? Magari ti sarà d’ispirazione per uno dei tuoi racconti.
Sarebbe finita comunque tra noi, certe volte l’amore grande non basta a far funzionare una relazione.
Forse mi avresti lasciata tu, stanco del mio egocentrismo, forse io, stanca di cercare in te qualcosa che non puoi darmi.

Cara Ele,
a te non so proprio cosa dire.
Più volte il pensiero dei tuoi occhi mi ha fermata da questo gesto.
Mi sento responsabile verso di te, ti devo delle spiegazioni, sei la piccola, la cucciola matura, la sorella minore che non ho avuto mai.
Sarei io a doverti proteggere e invece ti sto spaccando il cuore.
Il mio è un atto di egoismo.
La mia è una fuga, l’ultima.
Rileggi i miei scritti e portami nel cuore, io sarò sempre con te.

Margherita si alzò alle 7 di mattina, prima che la sveglia suonasse, quel giorno aveva lezione tardi, avrebbe potuto dormire. Posticipò fino alle 9.
Decisa tirò fuori il coltello da sotto il letto dove l’aveva lasciato la notte precedente con i biglietti.
Prese in mano il cellulare come a voler controllare che nessuno l’avesse cercata.
Sabrina, un messaggio: “So che sei a letto, esci subito che passo per un caffè“.
Un automatismo, con ancora il coltello in mano Margherita uscì dal letto, prese i foglietti e ripose tutto nel cassetto, andò a lavarsi e fare colazione.
L’avrebbe mai fatto, sarebbe riuscita a liberarsi da se stessa? Forse. Ma non quella volta.


Fonti

Crediti

Copertina

Sharp

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