Il talismano

Cos’è un attacco psicotico? Io ho la fortuna di averne vissuti diversi.
Chi è davvero fortunato come me esce dall’attacco psicotico dopo un paio di settimane di cure, pillole blu e bianche e buon sonno, l’ultima soprattutto.
Avere un attacco psicotico è un dono: forse in passato sarei stata eletta santona, visionaria o beata. Siamo proprio sicuri che Bernadette vide la Vergine Maria? Anche mia madre vide Dio, in attacco psicotico.
Io vidi… me stessa, i miei sogni, le mie paure, le mie fobie, i miei traumi e tutto ciò che ha solcato il mio cuore.
“Non ho smesso di avere allucinazioni, ho solo deciso di ignorarle”, afferma Jhon Nash, schizofrenico. E poi si vedono tre figure inesistenti nella realtà, ma parte della realtà di Jhon Nash.
Non sono schizofrenica, non ancora almeno, dato che qui ti fanno una diagnosi diversa a seconda delle circostanze e degli ospedali e delle mode. Dio mi ha concesso un talismano che mi riporta alla realtà quando sto per ricadere in un attacco psicotico.
Lei è la mia migliore amica.
Prima di vivere un attacco psicotico di cui lei facesse parte, anche io decidevo scientemente di ignorare i miei mostri nel cassetto, ma, in fondo al cuore speravo sempre che quei mostri si manifestassero ancora per dimostrare a tutti che avevo ragione, per far vedere a chi non credeva in me (nessuno!) che quei mostri erano reali.
Lei ci ha creduto in me, fino al punto di mettere in discussione la sua realtà. All’ultimo giro è andata 50% e 50%, metà mostri e metà sogni.
Credevo di aver subito violenze in famiglia da piccola, abusi. Ho subito molta violenza psicologica ma nessun abuso fisico. Ho sognato: ancora una volta ho sognato di andare a Oxford, sogno che mi abbandona presto quando non sono in preda a un attacco psicotico e riesco a concentrarmi sulla primavera che da noi sorge tre mesi prima che da loro, e questo è un sogno più bello!
Iniziò tutto a lezione di danza: scoppiai a piangere nel momento in cui guardai la mia insegnante dritto negli occhi; avrei potuto anche io insegnare danza se avessi iniziato quando lo chiesi a mamma, avevo quattro anni.
Lei non volle: era impudico.
E poi scoppiai altre volte nel corso della lezione, ripensando a tutte le ragazzine che come me avevano sofferto di disturbi alimentari e che come me facevano danza, loro da più tempo.
Dopo ogni lezione io e lei ceniamo insieme, lei viene a prendermi. E chi lo vuole un uomo se hai una migliore amica così?!
Andammo a cena. Iniziai a raccontarle. Del mio mondo, quello che avevo in testa. Molti erano ricordi, veri, neri di dolore. Altri erano mostri che saltavano fuori dal cassetto delle paure, fantasmi che io avevo desunto dalla realtà: le violenze su di me bambina.
Successero cose mostruose e fantastiche, nel senso che voi non potete nemmeno immaginarle lavorando di fantasia, perché sono cose che nessuno sa tranne chi ha il dono di essere un visionario, alias, chi ha il dono di avere un attacco psicotico.
Lei mi fu accanto. Le chiesi di guidare per tutta Milano finché, per mia scelta, approdammo in ospedale: avevo deciso all’una in punto di notte di fare dei controlli.
Lei mi fu accanto. E guidò, tutta la notte, perché credeva in me, crede in  me.
Subito passai dal pronto soccorso in psichiatria presso un altro ospedale.
C’era anche mio padre. Lei non voleva lasciarmi lì, non voleva che finissi in psichiatria, non voleva nuove pillole blu.
Non importava che stessi andando di matto o meno, quello che a lei importava era che non finissi in ospedale di nuovo.
Anche mio padre ci fu.
Anche mio padre vide e sentì ciò che sentì lei.
Anche mio padre restò finché non fui ricoverata in psichiatria.
Al contrario di lei, lui era lì per accertarsi che io finissi dentro di nuovo.
I matti al manicomio.
I matti al mattatoio.
Il mio caro, dolce, buffo, matto psichiatra mi disse che l’unico problema di un attacco psicotico è quando agenti esterni si scontrano con il mondo di chi lo sta vivendo: la società tende a normalizzare, incanalare, livellare, controllare.
Ed è allora che si scatena il putiferio.
Osate dirmi che i miei mostri e i miei sogni sono falsi: spero solo abbiate più fiato e più gambe di me; io corro le campestri, just saying.
Lei non lo fece. Non mi giudicò, non giudicò né i miei sogni né i miei mostri. Riuscì a interpretarli, a capirli, a capirmi.
Come fanno i protagonisti di Inception a capire se stanno sognando o sono svegli? Hanno un talismano, qualcosa che li riporta alla realtà, al mondo degli svegli, non appena lo vedono.
Ho ancora momenti in cui sento i mostri e i sogni arrivare, più forti di me, più forti della realtà, ma ora, ora ho un talismano, una migliore amica che sa guidarmi e riportarmi alla realtà, e quando sto per addormentarmi in preda alle  mie fantasie, mi riporta a casa affinché io possa dormire davvero, otto ore filate e passa la paura.
Io non ho paura.
Io ho un talismano che mi protegge.
Mi protegge perché lei crede in me.
E io in lei.


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