Il controllo dei social come difesa al terrorismo?

di Ettore Gasparri

Già nel 1996 il sociologo spagnolo Manuel Castells teorizzava la nascita di un nuovo tipo di società detta “Network society” caratterizzata non più dalla gerarchia, ma bensì da un rapporto orizzontale tra i membri di una comunità e dalla conseguente mancanza di un vero e proprio leader. Ed è questa una delle principali caratteristiche delle nuove organizzazioni terroristiche che le rende tanto difficili da debellare e controllare data la struttura cellulare che trova poi nei new media dei formidabili mezzi di comunicazione sia per quanto riguarda la comunicazione all’esterno dell’organizzazione, sia quella all’interno, come dimostrato dai vari profili social di jihadisti oscurati su Twitter o dai vari reclutatori individuati su Facebook.

 

Ma proprio in concomitanza con la sospensione di alcuni profili di Twitter di predicatori del gruppo di Al Qaeda, tra cui il giordano Abu Qatada, che seguiti da migliaia di persone commentavano la guerra in Siria, è partito un nuovo programma di controllo dei social da parte del governo americano.  Il programma di monitoraggio, proposto fin dalla scorsa estate, consiste nel controllo delle piattaforme social di coloro che sono in attesa del permesso di ingresso nel Paese a stelle e strisce. Il programma sarà condotto dal dipartimento statunitense Customs and Border Protection per gli stranieri che useranno la rete per richiedere l’ingresso ed in particolare  l’Electronic System for Travel Authorization (Esta).

 

Ovviamente il programma è partito tra le mille polemiche dei difensori della privacy e dell’internet association che rappresenta società quali Google, Facebook e Twitter, e che denuncia un pericolo per la libertà di espressione. L’agenzia si è però difesa fin da subito dichiarando che non fornire le credenziali non impedirà l’acceso nel paese.

 

Tra queste mille polemiche la domanda da farsi non è però probabilmente quella sulla mancanza di privacy. È evidente che i dati raccolti non verranno utilizzati, a meno che non vi siano rischi concreti per la collettività, e nel caso, a norma di legge, la privacy passa in secondo piano. Ma piuttosto se questa iniziativa possa davvero avere una valenza di controllo per i potenziali terroristi. È infatti ovvio come il controllo sia facile da ingannare con la creazione di secondi profili, e bisogna poi chiedersi se valga la pena davvero investire così tanto tempo e tante risorse umane in questo programma, piuttosto che reinvestire il denaro in altre iniziative atte a garantire la sicurezza, dato che solamente nel 2015 sono stati 77, 5 milioni i visitatori stranieri negli States.

FONTI: Internazionale, TPI

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