“Blue in the face” (1995)

La Brooklyn degli anni ’90, accennata in Smoke, viene analizzata nel sequel del 1995 Blue in the face con la stessa purezza e con la stessa ingenuità.

Girato in meno di una settimana come un gioco tra amici, non racconta una vera e propria storia ma prosegue quell’analisi delle vite invisibili che si muovono nell’ombra di Brooklyn. Queste vite vengono analizzate specialmente nel loro amore per quell’angolo di paradiso in cui non manca niente:

Quello che mi piace di più di Brooklyn è che puoi trovare gente di ogni nazionalità qui a Brooklyn, la cosa che mi piace meno è che tutte queste nazionalità non riescono mai ad andare d’accordo.

Ma questo può succedere nella tabaccheria all’angolo tra la terza e la settima, che rimane al centro dell’azione anche in questo secondo film. I registi Paul Auster e Wayne Wang mantengono alcuni degli interpreti del primo film a cui si aggiungono altri personaggi celebri come Jim Jarmusch, Lou Reed, Michael J. Fox e Madonna ma questa volta non esiste copione; vecchi e nuovi interpreti si sono ritrovati a improvvisare su un semplice canovaccio tematico fornitogli dagli autori, a ognuno sono stati concessi 10 minuti di riprese in cui interpretare il ruolo accennatogli dai registi con la massima libertà.

Nella pellicola si alternato interviste da Lou Reed a un inventore di un attrezzo per togliere le buste impigliate sugli alberi, monologhi allo specchio, Madonna che consegna un telegramma cantato e ballato, Michael J. Fox che propone un improbabile sondaggio a un ex compagno di classe incontrato per caso fuori dalla tabaccheria, ricordi malinconici dei Brooklyn Dodgers e Jim Jarmusch che fuma la sua ultima sigaretta con il tabaccaio Auggie mentre disquisiscono su quanto il cinema possa essere stata la causa della loro prima sigaretta.

In ogni scena risalta l’entusiasmo di vivere e la voglia di divertirsi di chi non ha nulla di meglio da fare se non passare le sue giornate in una tabaccheria. L’improvvisazione degli attori non fa altro che rendere storie di ordinaria follia quasi plausibili, inserendole in un contesto tanto assurdo quanto commovente.

Com’era per il primo film, anche in Blue in the face le storie sono concentrate in una sola estate ricordata da Auggie come quella in cui ha rischiato di perdere la sua tabaccheria e di vederla trasformata in un negozio di alimenti dietetici, la stessa estate che però termina con un sospiro di sollievo e con una grande festa improvvisata in quell’angolo di paradiso tra la terza e la settima e “quando 572 cittadini di Brooklyn si riuniscono nello stesso punto lo spirito va per forza in alto”.


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