“È solo la fine del mondo” di Dolan: l’enfant prodige si fa uomo

E’ solo la fine del mondo: il nuovo film di Xavier Dolan è stato presentato al Festival di Cannes 2016. La pellicola è basata sulla pièce teatrale Juste la fin du Monde (Solo la Fine del Mondo) di Jean-Luc Lagarce.

Una trama fatta di drammi famigliari

Louis, autore affermato, gay, ragazzo di poche parole, è l’escluso per eccellenza: colui che mai potrebbe rientrare efficacemente in un tessuto famigliare. Il personaggio decide, dopo 12 anni di assenza, di tornare dalla propria famiglia per annunciare la propria morte. Non è chiaro che tipo di morte sia, se una malattia o un suicidio. E’ ovvio fin dalla prima scena corale che il tessuto famigliare è irrimediabilmente rotto e Louis non potrà tentare un reinserimento nemmeno se lo volesse, perché non c’è niente più in cui inserirsi. La madre è bloccata in un passato di ricordi ed aneddoti che ripete ossessivamente fra indulgenza e umiliazione dei figli. Antoine, il fratello maggiore, non fa altro che maltrattare i familiari e rinfacciare loro l’avergli affidato il ruolo di capofamiglia. Suzanne, la sorella minore, è una sconosciuta per Louis, che se ne andò quando lei era ancora piccola e che vede in lui la prova che fuggire da quelle persone è possibile. Catherine, la moglie di Antoine, è l’altra esclusa, completamente anonima e disperata nel tentativo di trovare la propria parte.

Questo tessersi di ruoli, colpe e recriminazioni appare evidente fin dalla scena dell’arrivo di Louis a casa, dove, dettagli di vita famigliare qualunque nascondono questa complessa trama di rapporti e non-detti. Sarà proprio il tessersi e l’esplicitarsi di questi fils rouges a guidare lo svolgersi della vicenda, seguendo il complesso schema narrativo di alternanza fra scene corali, dialoghi fra Louis e un membro della famiglia e brevi flashback. L’elaborata trama di dialoghi riesce a mettere in luce un dettaglio molto particolare: il protagonista della vicenda non è, come ci si aspetterebbe, Louis ma, di volta in volta, il personaggio con il quale dialoga.

Tutti i personaggi sono fin dall’inizio nascosti all’interno degli usi famigliari e Louis lo è ugualmente nella sua condizione di escluso. I dialoghi riescono quindi mano a mano a svelarli, obbligandoli ad uscire dai loro nascondigli per cogliere questa irripetibile occasione. Alla fine di Louis non si sa quasi nulla. E’ vivibile, da esterni alla famiglia, a viverne il disagio, la sensazione di esclusione senza redenzione possibile. Nonostante ciò non è possibile capirlo. Le tre parole con cui risponde a tutti non bastano allo spettatore come non bastano ai fratelli e, alla fine, rimane un estraneo, lasciando agli altri la possibilità di salire sul palco e dire tutto ciò che hanno sempre voluto dire a lui e agli altri.

Un film per lo spettatore

I drammi famigliari sono qualcosa di forse irrisolvibile e di perennemente incomprensibile, a causa soprattutto della loro natura unica. Questa è la tara che i personaggi, ognuno nel proprio modo, si portano dietro, fino all’esplosione finale. Il finale, ecco. In breve rimane aperto, ma forse non è solo il finale ad essere aperto, è il film intero. È richiesta la collaborazione, o necessaria interpretazione, dello spettatore per decidere quale sia il senso del tutto. Quale sia il dramma di Louis, quali siano ancora i misteri, i non-detti, i veri pensieri dei vari famigliari. Questa archetipica famiglia, i cui membri di scena in scena diventano riflessi dello spettatore, gli permette di dare una personale visione dell’intera vicenda.

Il comparto tecnico collabora in maniera sublime alla resa finale. La regia è violenta, invasiva, viola ogni possibile privacy dei personaggi, con asfissianti inquadrature strettissime sui loro volti che permettono di scavare nella loro anima molto più di quanto non facciano le parole. La fotografia che cambia luci e contrasti in continuazione trasforma la scena in un palco teatrale creando un clima di irrealtà e sospensione nel tempo, soprattutto nei flashback, vere vette liriche dell’opera. Le musiche riescono a creare il ponte fra la famiglia e lo spettatore. Xavier Dolan, giovanissimo regista dalla profonda sensibilità, enfant prodige del cinema internazionale, è riuscito a regalare un film di profondissima e sentita maturità, di uomo vissuto e ragionato, colto e umano.

 

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