Two boys on the shore

… giacchè solo uomini e cani sono pronti per partire lungo il Tamigi in viaggio!
Questi due sono invece solo ragazzi.
E si dimostrano ragazzi nelle loro scelte: tra il dire e il non dire scelgono la seconda.
Dire e non dire, essere o non essere, uomo o ragazzo ….
Il primo lo conosco da che sono nata, è il mio più vecchio amico, non per questo il migliore.
Quando avevo nove anni mi bruciò i capelli, eravamo entrambi chierichetti, entrambi portavamo il cero.
Quando mi chiesero “Chi è stato a buttarti giù dalla scarpata?”, pur non avendo visto, risposi tra le lacrime “Eteocle”, dieci anni.
Lo rincontrai non molto tempo fa.
Un amore ed un’empatia infiniti.
Entrambi in crisi con i rispettivi partner, entrambi pieni d’amore e passione per la vita, le persone, le cose, le situazioni.
Entrambi beaten children, bambini picchiati dalla vita e cresciuti senza l’affetto di una madre. Un vuoto riconosce sempre un altro vuoto.
E quando insieme pensammo alla nostra visione dell’amore che fugge e ci sfugge, pensammo entrambi a Les enfants qui s’aiment, che suscitano rabbia, rabbia, disprezzo, invidia, riso mentre si baciano in piedi, contro le porte della notte. Aveva donne n. 3, tre donne in ballo e da far ballare e una di queste ero io anche se faccio solo danza classica; mi chiese di aspettarlo.
Boccalona, aspettai! E in quel mese gli scrissi ‘le cose più belle’ che mai gli fossero state scritte. Se non fosse stato per la mia domanda “Embè che ne facciamo?”, ora sarei ancora ad aspettare, aspettare invece che scrivere.
Lui non voleva dire.
Forse aveva paura di perdere, di perderci.
Perché ‘tu Anna mi emozioni’.
Siamo amici, anche se soffro nel vederlo infelice con la sua ragazza, la sua coperta che gli copre a malapena i piedi, i piedi e non quelle sue mani forti da prigione michelangiolesco, sbozzate da mani di scultore inesperto, quelle mani non finite. Eteocle, un ragazzo.

Anche Polinice è un ragazzo.
Polinice mi ha graffiato il cuore con occhi azzurro Irlanda e con la sua parlantina sciolta. Polinice è, come me, un bambino fuori tempo, quei due secondi in anticipo su tutte le risposte a tutte le domande.
Ed essendo in due fuori tempo, beh, ne consegue che io e lui siamo a tempo, come un orologio, come un bello scambio di ping – pong.
Io faccio una battuta, lui risponde, io faccio una citazione, lui la capisce senza note a piè di pagina, io penso una cosa, lui o l’ha già pensata, o la sta pensando insieme a me, o la penserà tra un minuto secondo.
L’ho visto in tutto due volte in tutta la mia vita, ma tanto basta.
Tanto basta per conoscere una persona giacché ci si conosce o con il tempo o di pancia.
Lui direbbe che credo di conoscerlo di pancia, in realtà mi è rimasta l’impepata di cozze sullo stomaco.
Del resto si sbagliava, poiché avevo intuito fin da principio una sua volontà di non dirsi, non raccontarsi, non scoprirsi troppo.
Ma io che ci posso fare?
Non sono parca né parsimoniosa e grido al mondo il mio motto con convinzione: “do ut des”.
Dopo un mesetto, un mesetto di messaggi, chiamate, mail e racconti, tale è stata la tempistica anche per Polinice, se ne esce con “frequento una ragazza”.
Lo rivedrò? Io non ho secondi fini, forse la sua ragazza sì, e potrebbe non piacerle che Polinice ‘frequenti’ o si veda soltanto con la candida Anna, ovvero l’ottimismo.
E’ un peccato.
E’ un peccato perché se mi avesse punta ancora un poco, come la spina punge il cuore dell’usignolo che col suo sangue colora la rosa, anche la mia rosa sarebbe stata più vivida ed i miei racconti più rossi di passione e neri di dolore.

Sharp

 

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