In primis

Di Sharp

La mia amica Paola un giorno mi disse di essere “fissata” con le prime volte, come il primo tiro di canna, il primo bacio, la prima volta con un uomo.
Tutte sanno quanto sia importante quella prima volta, ma oggi c’è quest’ansia incontrollabile di darsi, di anticipare.
Io non sono fissata, ma ho una buona memoria, sia per i paradigmi di Greco che per i momenti che mi colpiscono.
La prima volta che lo vidi fu il 10 Ottobre 2005: camminava verso l’ingresso dell’università, statuario, in mezzo a due amici più bassi di lui che facevano da gregari, altissimo nella sua Lacoste bianca e i jeans larghi.
Le prime parole che mi disse furono: “’mazza che stretta”, l’11 Ottobre. Mi piace stringere con forza, voglio far vedere che ci sono e che ho carattere. Non notai le sue mani virili seppur delicate.
La nostra prima conversazione seria avvenne quando
facemmo sega e restammo a parlare nel chiostro: mi raccontò di Francesca, con la quale lui aveva davvero il ruolo di Paolo, con la differenza che ora non si trova all’Inferno. Mi disse che era da tempo che non parlava così, mi bevvi le sue parole, le sue emozioni fortissime, il suo amore adolescenziale e grandissimo per una donna cui lui non bastava.
Lo trovavo così stonato nel corso di Lettere Moderne, un romanaccio un po’ sboccato che non prometteva niente di buono sul profilo accademico, soprattutto in Latino. E il mio affetto smisurato per lui era pari alla sua buffa volgarità, ai suoi
mi pisci in culo (mi dai buca) e me fa tajà (mi fa ridere).
La prima volta che andai a casa sua fu anche la prima volta che mi strinse in quel suo abbraccio: mi tirò su da terra con un braccio solo, me, i miei 47 kg e la mia maglietta a righe con scollo a barchetta da Merylin Monroe. Venivo da una violenta crisi domestica con il babbo, che per l’ira aveva rovesciato il mio piatto di spaghetti per terra.
E sempre di pasta si trattava quando cucinò la prima volta per me. Erano maccheroni larghi e grondanti sugo, forse sugo fatto in casa dalla nonna, devo chiederglielo.
Ed io cercai di nutrirlo con dei bellissimi ravioli che avevo visto nella panetteria sotto casa. Mi disse con un sorriso grande che sarebbero stati buonissimi con il pesto. Avevo comprato anche quello.
Fu il primo ad accorgersi della mia anoressia senza che glielo dicessi. E avrei mangiato qualsiasi cosa provenisse dalle sue mani come una benedizione.
Nel suo primo esame, un esame di filosofia, prese 30 e lode, il fessacchiotto.
Baciò Camilla, la mia più cara amica, prima di baciare me, attorno al 6 Luglio 2006. Lo seppi da lei, lui mi chiamò per farmi gli auguri di compleanno il 13 e me lo sarei mangiato a morsi rabbiosi. Disse che non avevo capito niente, che volevano solo divertirsi.
La prima volta che mi dichiarai fu nel Settembre successivo.
Da lì i nostri rapporti divennero più labili.
Una notte di Novembre, dopo averlo recuperato bagnato fradicio e incazzato duro in centro e averlo riaccompagnato a casa, mi accarezzò la bocca. Non volevo niente di più, niente, se non nascondere il mio corpicino fragile nel suo.
Fu un anno di grandi passioni e grandi distrazioni, il secondo che trascorsi in università, ma il mio più grande sogno si era avverato: ero stata presa per l’Erasmus alla Sorbona! Il professore al colloquio si era intenerito perché gli avevo esposto il mio progetto su come salvare il mondo.
La mia prima volta non c’era ancora stata e io, ormai troppo vecchia, temevo già che sarei rimasta fregata per il resto della vita. Chi
ti si piglia vergine a 21 anni?!
Non era la mia priorità, ma sentivo la mia castità come uno scomodo peso di cui liberarmi.
Quella magica estate pre Erasmus la trascorsi tra l’Andalusia e l’Irlanda.
Così come Joyce scrive quando si allontana dall’Irlanda, io misi a fuoco le cose quando mi allontanai da Milano.
Penso che se non gli venne un attacco cardiaco, almeno sentì un bel cazzotto alla bocca dello stomaco quando gli dissi: “Sai, ci ho pensato, vorrei che la mia prima volta fosse con te’. E questo equivaleva a dirgli che lo amavo, tanto, tantissimo, che il sesso non era importante ma io volevo tutto, anzi
tuttissimo, con lui. Voleva dire che mi fidavo ciecamente, che sapevo che quella prima volta sarebbe stato un po’ come un racconto sull’homecoming, il viaggio di ritorno a casa. Sono sicura che avrei pianto, come nella canzone dei Dire Straits, “Juliet, when we made love you used to cry. Ma sempre come in quella canzone, il momento era sbagliato, “it was just that the time was wrong. Lui si vedeva con un’altra ragazza, ma la cosa non sembrava seria. E invece lo divenne e loro stanno ancora felicemente insieme.
La prima volta fu quell’estate, con un altro uomo, che non era alto né forte né mi abbracciava tirandomi su da terra con un braccio solo, non sapeva cucinare né scrivere poesie – nel frattempo il romanaccio si era evoluto, era diventato il migliore del corso e scriveva; ora sta facendo un dottorato e spero realizzi il suo sogno adolescenziale di diventare dantista e non dentista come il padre.
Non c’è una ragione.
“Cogli la rosa quando è il momento” recita un famoso verso e io non ero pronta a cogliere quella rosa meravigliosa, una rosa Tea, che mi allarga il cuore ancora oggi con il suo accento romano, che lui definirebbe “cadenza”. Lui fu il primo a regalarmi un fiore.
Se siete fissate con le prime volte come la mia amica Paola, allora aspettate che lui vi chieda il pesto quando voi per caso ne avete una scatolina in tasca.

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