Niente compiti e tutti in giardino: a Varese le mamme vogliono la scuola 2.0

di Federico Lucrezi

Se n’era parlato molto già a settembre, quando la lettera di un padre varesotto, Marino Peiretti, che spiegava che per scelta il figlio Mattia non avesse svolto i compiti assegnati per l’estate per dedicarsi ad altre attività aveva fatto il giro del web, ma oggi la voce di chi vorrebbe un modello di scuola differente è diventata un vero caso nazionale grazie ad una petizione che sempre a Varese sta riscuotendo grande seguito.

Se nel primo caso, però, il tutto è derubricabile a semplice carenza educativa di un padre che sceglie di privare il figlio di ogni qualsivoglia forma di senso del dovere, di fatto incoraggiandolo nel non rispettare le regole e l’autorità, ben più interessante è la richiesta delle novanta madri che tramite una petizione vorrebbero provare a cambiare le carte in tavola e stanno chiedendo al sindaco di farsi tramite con il Ministero.

Il modello a cui si fa riferimento, per il quale si richiede l’avvio di una sperimentazione a partire dal prossimo anno scolastico, è quello di Una Scuola, scritto dalle ricercatrici del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Bicocca di Milano Francesca Antonacci e Monica Guerra che si ispirano a loro volta a modelli di istruzione sperimentati nei paesi del nord Europa.

Una Scuola, che si rivolge a studenti di età compresa tra i 3 e i 13 anni, si pone l’obiettivo di “Rintracciare le forme delle strutture e delle relazioni pensate per l’apprendimento. Allo stesso modo ha lo sguardo rivolto anche al futuro, perché si rende disponibile al cambiamento e sensibile ai processi di innovazione, come strumento di trasformazione del mondo che c’è in quello che sarà”.

Questo modello, che specifica di porsi quale riformatore di mezzi e linguaggi ma non di contenuti, ribalta le strutture tradizionali del sistema scolastico. In primis è differente il ruolo delle famiglie, che in questo modello sono parte attiva nella definizione delle linee culturali, mentre è demandata all’insegnante ogni scelta di tipo didattico: “Le famiglie sono partner con cui discutere gli orientamenti, in una suddivisione dei ruoli che non lasci spazi ad equivoci sulle rispettive responsabilità educative: il progetto culturale e le linee di sviluppo della scuola sono da progettare come frutto di una condivisione ampia, mentre le scelte educative e didattiche sono il compito specifico della professionalità insegnante, che se ne assume l’onere e la responsabilità”.

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La tradizionale organizzazione degli studenti in classi è considerata artificiale e limitante: il modello abolisce questa struttura in funzione di “gruppi fluidi, talora omogenei e talora eterogenei per età, dunque senza divisioni rigide e stabili; la vita naturale ci insegna da sempre ad aiutare e supportare i più piccoli e osservare e imitare i più grandi”.

E allo stesso modo anche gli orari di lezione sono fluidi, viene meno la scansione oraria della giornata in modo da non “spezzare i processi di apprendimento solo perché è finita l’ora e suona la campanella, sul modello della fabbrica fordista”.

Fondamentale per Una Scuola è anche il rapporto con la natura, al quale deve essere dedicata la metà del tempo a disposizione: “uscire non è, cioè, intervallo, pausa, diversivo, ma occasione di esperienza agita e pensata, dove corpo e mente lavorano insieme, dove l’insegnante può fare un passo indietro”.

Le cose si fanno più interessanti entrando nel merito della didattica, dove forse la dichiarata differenziazione tra mezzi e linguaggi e contenuti viene meno. Il modello prevede l’abolizione delle materie così come tradizionalmente le intendiamo: “le discipline, dunque, non possono costituire il punto di partenza della conoscenza, che si presenta come naturalmente trasversale ad ambiti diversi, bensì casomai il punto di arrivo delle ricerche, nella misura in cui, nell’approfondirsi, necessiteranno di linguaggi specifici e di strumenti dedicati”.

Naturale conseguenza è la ridefinizione del concetto di valutazione: il manifesto di Una Scuola è piuttosto vago in proposito e afferma che “ha una dimensione interpretativa, ha a che fare con il senso delle cose, che devono essere continuamente tradotte per essere comprese dai diversi attori in gioco. I bambini e i ragazzi nella scuola dovrebbero essere osservati, ascoltati, interpellati, valorizzati, attraverso strumenti e occasioni permanenti”.

Qualsiasi cosa questo significhi.

Nei fatti il modello prevede una sostanziale abolizione della valutazione in quanto tale.

Allo stesso modo salutiamo i compiti a casa, che nel rispetto di un tempo extrascolastico in cui “lasciare decantare quanto imparato” sono concepiti come “focalizzatori di sguardi, che hanno l’obiettivo di tenere alti il livello osservativo, la curiosità, l’abitudine a farsi domande”.

In altre parole niente compiti.

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Un modello come Una Scuola è profondamente lontano dall’impostazione tradizionale a cui siamo abituati. Il manifesto si mantiene su toni molto generali e un’eventuale applicazione pratica solleva più di un dubbio e appare molto poco adattabile: non è certo pensabile apprendere le basi imprescindibili della matematica, della fisica o delle scienze naturali senza uno studio e un esercizio adeguato.

Ma probabilmente questo non interessa a nessuno: una scuola a tempo pieno e senza compiti a casa è il paese delle meraviglie per tanti genitori che vedrebbero ulteriormente ridotto il proprio compito educativo.

Chi ha voglia di stare dietro ai compiti dei figli?

Basta compiti, basta materie, basta voti. Tutti in giardino.

E il problema della fuga dei cervelli è risolto.

Estirpato alla radice.

Il manifesto di Una Scuola
Copertina
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