PEER REVIEW, UNA PROCEDURA VALIDA?

di Giacomo Rota

Se siete studenti alle prese con un esame o con la tesi vi capiterà con una certa frequenza di consultare riviste di settore della vostra disciplina, recuperando contributi e articoli preziosi per lo studio. Vi siete però mai chiesti che cosa garantisce l’affidabilità di quell’articolo o, parimenti, l’affidabilità che la rivista che state consultando sia un prodotto “serio”?

La procedura che un articolo deve superare per ottenere la pubblicazione su riviste di un certo livello è nota come peer review (in italiano revisione paritaria).

Quando una ricerca viene inviata a una rivista che adotta questa pratica, un redattore deve provvedere a selezionare dei revisori a cui affidare il lavoro inedito. Per revisori si intendono ovviamente degli esperti del settore, valutati per le loro competenze, e  spesso non  retribuiti per questo tipo di prestazione.

Ne consegue che una rivista tende a reclutare come revisori quegli studiosi che a  loro volta sono già stati oggetto di peer review nelle loro pubblicazioni o che hanno in programma di pubblicare con quell’editore in futuro. In altri casi, sono scelti come revisori coloro che hanno ricevuto o stanno ricevendo finanziamenti dall’ente che promuove la pubblicazione.

Per quanto si stia attenti ad evitare ogni conflitto di interessi, si può già vedere come il meccanismo della peer review si basi molto sulla fiducia e sulla sincerità dei soggetti coinvolti: se per caso uno dei revisori si vedesse sottoporre sotto gli occhi un lavoro che presenta ricerche simili a quelle che lui sta conducendo, difficilmente ci sarebbe una valutazione imparziale, giacché subentrerebbero situazioni di “concorrenza” e invidia. Il problema è che spetta proprio ai revisori informare l’editore di eventuali incompatibilità.

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Tendenzialmente è il solo autore a non conoscere chi siano suoi revisori, ma vi può essere anche la situazione in cui non è a conoscenza nemmeno del nome del redattore. Molto spesso viene chiesto all’autore di eliminare dal proprio lavoro ogni riferimento che possa condurre alla sua persona, presentando così un lavoro anonimo (cosa non facile, dal momento che, in contesti di nicchia, un certo stile o un certo argomento possono già indurre un revisore a identificare la scuola – se non già l’identità – di chi scrive).

I criteri con cui un articoli viene valutato sono diversi, a seconda del tipo di pubblicazione (ricerca scientifica, articoli di filosofia o letteratura, elaborato di economia…). In generale viene considerata la bibliografia critica consultata, gli studi di settore pregressi, il processo di raggiungimento dei dati e l’argomentazione logica dell’elaborato.

Un articolo che viene bocciato può essere rifiutato definitivamente o accettato con riserva. In tal caso l’autore può rispondere alle critiche che gli vengono mosse e revisionare il proprio articolo.

Dal 1997 è attivo il COPE (Committee On Publication Ethics – link), un forum fondato da un gruppo di redattori che si occupa di tutti gli aspetti etici di una pubblicazione e raccoglie in un ampio database i casi affrontati di cattiva condotta di peer review.

La procedura di peer review è ancora oggi estremamente dibattuta e diversi sono i documenti che ne illustrano le manchevolezze. Rimane comunque ad oggi il meccanismo più diffuso per la pubblicazione di testi specialistici.

Fonti:

  • European Peer Review Guide (PDF – European Science Foundation) – link
  • Wikipedia – link

Crediti immagine:

  • Immagine di copertina (link)
  • Immagine interna (link)

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