Il campanaccio cittadino

Che di fronte alle porte scure
del tempo, Risacca usava chiederci
il moto perito del suo schiumaccìo
e noi, da antichi che eravamo,
non osavamo rispondere altro
se non con fichi, lambicchi e aste
imbandierate col bianco delle lenzuola
appena dilavate alla fonte di paese.

E che oggi, come ieri, non esistano
più Madonne nere, allevate
nel grembo della terra più atra,
sembra triste
al passaggio per le cavate di cemento
e asfalto, o le auto sporche, indignate,

risuonano lontane le campane
simulate da clacson scioperati,
o forse palazzi e palazzinari,
questi avvocati – il terziario malato –
fatto di malta e caroselli
e poi la musica paritetica,
un avvoltamento di noie e dolori
in uno sguardo collettivo di vuoto.

Eliot pareva citare inferni metropolitani
Anime pronte al Caronte dagli occhi di brasia,
ma in questa porticciola di cemento armato
in questa terra particolata,
in questo rimando continuo all’innocenza
c’è nascosta, dietro il biologico, le uova a terra
le lattaie che ammantano bottiglie vitree
solo in vece della campagna brulla e scoscesa…
In tutto questo è nascosta la lontananza

l’amara collettività arresa al tempo
di un giudizio mai venuto, di un terremoto
mai collocato al posto indeterminato,
l’amara salvezza da se stessi e dal proprio
correlativo.


Fonti

Crediti

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.