La poesia va letta, non studiata

Oggi non vi parlerò di autori particolari, perché sono stato colto da una riflessione che ritengo troppo importante per non essere trattata prima di ogni possibile altra recensione.

Spesso mi è capitato di sentirmi dire da parte di amici, conoscenti e sconosciuti che la poesia è incomprensibile e per questo illeggibile. Ora, che esista un movimento poetico oscuro, o meglio, ermetico, è verissimo: è un atteggiamento derivante da una concezione di poesia come segreto, per citare Ungaretti. Questo oscuro lo ritroviamo in Mallarmé, Ungaretti stesso, in alcuni tratti di Montale, in Celan e tanti altri poeti contemporanei. Tale aspetto, tuttavia, non caratterizza tutta la poesia esistente, anzi! C’è un’ulteriore tendenza a dire tutto nella poesia, senza nascondere nulla, e questo atteggiamento lo possiamo benissimo intravedere in poeti come Antonio Porta e Valerio Magrelli. In questi poeti l’aspetto lirico è chiaro, netto, preciso, identificabile. Tuttavia, a prescindere da queste considerazioni, che sono sì necessarie, ma non colgono il punto fondamentale che dovrebbe animare ogni testo, a prescindere dal suo portato, ossia che la poesia prima di tutto va letta. So che suona strano, perché sembra un concetto basilare, quasi banale, ma non lo è nella misura in cui abbiamo stratificato sin troppo la categoria del verso, rendendolo oggetto esclusivamente da interpretare e studiare.

Questo è in parte necessario, soprattutto in certi autori, ma rimane costante il preludio della lettura, lettura intesa come piacere, non come imposizione interpretativa. In questo senso la poesia va prima di tutto apprezzata nella sua veste fisica di scritto, il che ha un portato che non è solo significato, ma anche musicalità, armonia, richiami più o meno inconsci, che spesso sono sottovalutati in forza di un costrutto eccessivamente largo che viene praticato a ogni poesia. Non che questo non apra delle porte utili per comprendere il verso e per dargli significato, ma con la scolarizzazione della poesia si è arrivati a un’eccessiva specializzazione della stessa, soprattutto nella lettura. Sarebbe bene, per cercare di ovviare a questa problematica, cominciare a dare da leggere durante l’estate non solo romanzi, ma anche raccolte di poesia contemporanee, perché poeti come Vittorio Sereni, Milo De Angelis, Maurizio Cucchi, Ottavio Rossani, Roberto Mussapi, Zanzotto e altri, sono un patrimonio necessario per la cultura di ognuno di noi e, inoltre, un caleidoscopio necessario per capire la nostra sconquassata contemporaneità. Non darli da leggere durante la scuola entra nel pregiudizio secondo il quale la poesia è solo studiabile, ma difficilmente leggibile.

Un mutamento di prospettiva in questo senso si rivelerebbe tanto più necessario, quanto meno riusciamo a trovare una via, o un aspetto, per interpretare il nostro contemporaneo.

Dunque, a parte il titolo provocatorio, la poesia va davvero letta, prima che studiata, perché il verso ha tanti di quegli impliciti che uno studio, anche intenso, non potrebbe mai rivelare: sono impliciti che vengono raccolti esclusivamente nella nostra intimità ed è con essi che dobbiamo ricominciare ad amare il verso. Anche perché le poesie non sono poi così incomprensibili come sembra: usano solo un linguaggio nella maniera più larga e piena ed estesa possibile (non è che sia la poesia a essere chiusa, anzi, è sin troppo aperta, visto l’uso estremo e forte che fa del linguaggio in tutte le sue parti e risorse). Ma soprattutto parla di noi, nella maniera più insolente e intima possibile. Ed è quest’ultima la ragione prima che ci deve portare a leggere più poesia, perché ci dà risposte che molti romanzi non riescono nemmeno a intuire.


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