Proibire o tassare?

Gioca senza esagerare”- Si conclude uno spot che invita al gioco d’azzardo. “Può causare dipendenza patologica”-avverte un altro nell’ultimo secondo a disposizione.

Non si potrebbe pubblicizzare un prodotto che si sa essere nocivo. L’aumento di consumatori influisce negativamente sulla salute pubblica, aumentando anche le spese a carico del Sistema Sanitario Nazionale.

Perciò non si vedono pubblicità di sigarette a tabacco sin dall’inizio degli anni ‘60 (“La propaganda pubblicitaria di qualsiasi prodotto da fumo, nazionale od estero, è vietata”legge 10 aprile 1962, n. 165). Tutti conoscono i danni della combustione a polmoni e non solo, se non altro a causa della lettura distratta degli avvertimenti sui pacchetti: “il fumo uccide”.

Tuttavia non mancano spot e manifesti che esaltano gusto e effetti di prodotti alcolici, accompagnati anche essi da avvertimenti scritti in piccolo o letti velocemente che invitano a non eccedere. E sulle bottiglie è raro leggere avvertimenti riguardanti gli effetti dell’alcool su fegato e altri organi, se si va oltre a quantità modiche. Così come viene difficile pensare che anche l’alcol alla lunga possa dare un tipo di dipendenza anche chimica, come quella da sigaretta dovuta alla nicotina.

 Di entrambi questi tipi di prodotto si conoscono bene le proprietà negative, ma l’uso e abuso da sempre molto diffuso ha spinto a prendere provvedimenti diversi dal semplice ritiro dal mercato, dimostratosi inefficace nell’America degli anni ’20. Proibire qualcosa di tanto diffuso  ha alimentato mercato nero e criminalità.

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Come si può, allora, cercare di limitarne il consumo, magari anche riuscendo a riempire le casse dello Stato? Tassandone la produzione e la vendita. Per questo si alzano i prezzi, ma non si diminuisce la produzione.

Ci sono però anche altre sostanze riconosciute come nocive, piuttosto diffuse ma ugualmente proibite dallo Stato.

Fra tutte, si conosce la cannabis, quel “fumo” poco distinguibile da una sigaretta alla vista, ma dall’odore forte che non lascia spazio ai dubbi.

Ormai non capita di rado, camminando la sera accanto ad alcuni locali, di sentire quell’odore proibito. Fra chi se ne serve, qualcuno è convinto che dia meno dipendenza del tabacco e la ritengono per questo più “sana”.

Numerose ricerche sono state fatte in proposito: di certo si sa che il prodotto di combustione di questa sostanza influisce su alcuni recettori del sistema nervoso. Una ricerca inglese (“Cannabis, a complex plant: different compounds and different effects on individuals”, Z. Atakan, Advances in Biochemical Psychopharmacology, 2(6): 241–254) ha messo in relazione quel 15,8% di cittadini UK che ne fanno uso regolarmente con la diffusione di malattie psichiatriche che potrebbero esserne collegate. Infatti la sostanza,come altri stupefacenti analoghi, agisce, pare, sulla stessa zona del cervello in cui si riscontrano anomalie nei casi di schizofrenia.

Nel frattempo, vista la grande diffusione, in sempre più paesi se ne permette l’utilizzo. Fra i più famosi si conoscono i Paesi Bassi, in cui, secondo alcune fonti, il consumo di “droghe leggere” è, pare, leggermente minore in percentuale di quello di paesi in cui è proibito (9,7% dei giovani olandesi, contro il circa 10,9% italiano). Un tale dato, se vero, pone un ulteriore interrogativo sulle motivazioni del consumo di tali sostanze: si tratta, forse, anche in parte di “gusto del proibito”?

Anche in alcuni degli Stati Uniti si cercano mediazioni fra proibizione e diffusione: in California, ad esempio, si è autorizzati al consumo “per uso terapeutico”. Fra gli effetti, infatti, si riscontra una sorta di effetto anestetico, antidolorifico. Per usufruirne, in questo caso, è richiesta una ricetta medica, una carta soprannominata “green card”, come il documento necessario per ottenere la cittadinanza americana. Chiaramente per ottenere tale ricetta è necessario pagare una somma dell’ordine del centinaio di dollari.

Sarà questa permissione regolamentata una fonte di guadagno per lo stato della California? E per rimpinguare le casse di uno Stato, è legittimo chiudere un occhio sulla salute dei cittadini?

 

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