“L’arte della gioia”: l’arte di vivere davvero.

Nella periferia più squallida e povera di Catania, il primo gennaio del 1900, nasce Modesta. Ha una dote particolare: la capacità di volgere a suo favore ogni assurdo evento che le capita nel corso della vita, una vita lunga e irregolare, al limite dell’assurdo. “L’Arte della gioia” di Goliarda Sapienza non è uno di quei romanzi che si iniziano e si lasciano lì, a decantare sul comodino in attesa che sera dopo sera ti catturi. No, è uno di quelli che ti fanno stare con le sopracciglia aggrottate per le prime cinque pagine e poi…

Osservatrice acuta e mossa dalla curiosità di indagare ogni cosa e ogni persona, Modesta rifiuta con forza di fare proprio qualsiasi tipo di schema o etichetta per affermare invece se stessa, prima di ogni altra cosa. Modesta è Forte, è Libera, ma soprattutto è Donna.

Forte perché l’energia vitale che la contraddistingue si incarna di quello stesso Thumos (in greco: θυμός) che animava Medea; come lei, Modesta si realizza nell’esigenza di imporsi e di esistere prima di ogni altra cosa. Un’impressionante forza di volontà le permette di affrontare e superare gli ostacoli che minacciano la sua libertà: ecco che l’omicidio non ci sconvolge, perché è dettato dalla necessità di essere Libera.

Rifiuta le etichette che la società, la politica, la storia, vorrebbero affibbiarle. È in primo luogo libera da se stessa: non si giudica e questo le permette di vivere punto e basta, accetta gli eventi della vita come le si presentano agendo sempre e solo alla ricerca della gioia. Non cade nella trappola del senso di colpa da bambina, quando si libera dalla prigione della schiavitù religiosa e rifiuta, da adulta, di essere rinchiusa in una qualunque ideologia politica: frequenta per breve tempo alcuni circoli socialisti, dei quali poi dice “quella è proprio una chiesa […] e dalle chiese è meglio scappare dopo averne ammirato i capolavori”. Ancora più radicalmente, ovviamente, si oppone al fascismo. Nello stesso modo in cui rifiuta di portare qualsiasi abito politico rifiuta di dare una connotazione socialmente riconosciuta alla propria sessualità: vive il suo corpo come è, proprio come vive tutto il resto.

Portando a galla, con il suo modo di comportarsi, l’inesprimibile, Modesta risulta in un primo momento eccessiva e provocatoria, ma il lettore disposto a farsi coinvolgere dal testo capirà ben presto che lei verbalizza semplicemente quello che noi non osiamo guardare o bolliamo come tabù. Non è eccessiva, ma libera dal pregiudizio.

In un romanzo in cui le metafore si basano tutte sulla natura o sul corpo, è questo a dettare legge: Modesta non fa che obbedire alla sua volontà.

È chiaro che sopra ogni cosa Modesta è Donna. È una persona reale piena di dubbi e insicurezze, paure e frustrazioni, ma con la capacità unica di affrontare ognuna di queste cose a occhi aperti e senza vergogna, accettandola in primis per il fatto che esiste, e che la rende una persona, una Donna che deve lottare per affermarsi.

La lotta non si configura però contro il sesso opposto: gli uomini, fatta eccezione per qualche personaggio fondamentale, sembrano dei timidi ospiti in un romanzo in cui la vera disgrazia delle donne sono le donne stesse: creature incapaci di amarsi, di apprezzarsi veramente si precludono una vita piena. Modesta viene spesso e a torto, nel corso del romanzo, paragonata ad un uomo per la sua intelligenza e per le sue doti pratiche, quando lei è con semplicità una donna che è stata capace di liberarsi di quel velo di pregiudizi che il sesso debole, specialmente in Sicilia, si è tenuto attaccato addosso.

Lo snodarsi della sua vita è accompagnato, sullo sfondo, dalla storia del Novecento italiano, anzi, siciliano; sì, perché l’isola è ora il mare, sognato da una ragazza nata nell’entroterra che lo raggiungerà in uno dei momenti cruciali del romanzo, e ora caratterizza i personaggi: dotati di una “sicilianità visionaria e piena di passioni” gli isolani, fragili e insicuri tutti gli altri.

Un turbinio travolgente di situazioni, personaggi e luoghi è raccontato nel romanzo come un sussulto continuo dovuto dall’alternanza instancabile tra prima e terza persona che “è come uscire e rientrare continuamente in se stessi, per guardarsi da ogni lato- e per guardare il mondo” e da una narrazione piena di salti temporali improvvisi, che lontani dall’essere confusionari e voluti da una scrittura approssimativa, sono dettati dalla decisione dell’autrice di rappresentare una realtà fluida ed eterogenea dove il centro focale, il nodo gordiano, rimane sempre e solo Modesta. Ognuno dei personaggi che affollano il romanzo possiede una caratteristica propria di Modesta, ma è mancante di tutte le altre e rappresenta con i propri difetti una sfaccettatura del reale in modo da comporre insieme una totalità unitaria nella quale “ogni nuovo personaggio che appare è una marca di territorio annessa alla scrittura- e alla pienezza della vita interiore.”

Il romanzo è a tratti autobiografico, vi si ritrovano infatti molti aspetti della vita di Goliarda, ma è evidente che l’autrice ha dato vita alla persona che avrebbe voluto essere e che, come Goliarda, dopo aver vissuto il libro fino in fondo, vorremmo essere anche noi.

Citazioni da Domenico Scarpa (Senza alterare niente)

A cura di Lucia di Giovanni

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