La fecondazione assistita, in Italia

25 luglio 1978: nasce in Inghilterra Louise Brown, la prima bimba concepita mediante fecondazione assistita.

I genitori tentavano di avere un figlio da quasi nove anni, ma la madre aveva un problema alle tube di Falloppio (il collegamento fra ovaie e utero, sito della fecondazione) che rendeva i suoi ovuli inutilizzabili. Il fisiologo che, insieme al chirurgo, mise a punto tale tecnica che rese possibili questa e molte altre nascite, ottenne il premio Nobel per la Medicina nel 2010.

Fecondazione assistita: una discussione morale

La procedura, raccontata in teoria, appare semplice. È composta da quattro passaggi: induzione dell’ovulazione, estrazione dell’ovocita, iniezione di uno spermatozoo prelevato da una coltura di liquido seminale nell’ovocita, reimpianto nell’utero della madre. Quest’ultimo pare essere uno passaggi dei più delicati. Proprio per questa ragione, al fine aumentare le probabilità che l’embrione si impianti correttamente, spesso si feconda più di una cellula uovo.

Questo è uno dei punti che chi fa obiezioni etiche alla procedura porta a suo favore e si sovrappone ad altri temi di attualità quali l’aborto. La domanda sembra essere sempre quella. Se si considera il contatto di ovocita e spermatozoo come l’inizio della vita, può essere giusto “crearne” più di uno, e magari anche congelarli (cosa legalmente possibile, solo per tempo limitato)?

Certo non è questo l’unico caso in cui la Medicina sembra contrapporsi al naturale alternarsi di vita e morte. Anche riguardo a procedure oggi quasi universalmente accettate, come la donazione di sangue e organi, ci sono stati inizialmente dubbi e perplessità di ordine morale.

Alcuni dati (in Europa e in Italia)

Oggi a richiedere un aiuto artificiale per il concepimento sono principalmente coppie in età avanzata rispetto all’ottimale finestra di fertilità femminile. Il che pone un ulteriore interrogativo, al di là di religioni e filosofie: cosa spinge ad aspettare i 38-40 anni queste persone? C’è forse dietro, almeno in parte, anche la crisi, con le incertezze economiche che portano a posticipare un evento tanto importante, quanto dispendioso, come la nascita di un figlio? E in tal caso, è corretto far pagare le spese del concepimento artificiale alla coppia, o ha senso che lo Stato si assuma parte dei costi, trattandosi di una questione che può essere considerata anche, in parte, correlata alla salute?

Un trattamento in una clinica all’estero, come per esempio a Barcellona, arriva a costare anche intorno ai seimila euro, escluso naturalmente viaggio, vitto e alloggio. Le spese da coprire sono i materiali del laboratorio, sostanze e contenitori per la coltura e la conservazione degli spermatozoi. Ma anche pipette monouso, microscopio e manodopera (chirurgo e tecnici biologi e biotecnologi).

Probabilmente è stata la scoperta che il 63% dei clienti delle cliniche spagnole venivano dall’Italia a spingere verso una legalizzazione della procedura anche nel nostro Paese, con modifiche alla Legge n. 40/2004 che hanno però lasciato autonomia alle regioni di decidere se e quale parte dei costi coprire. Un ticket di tremila euro in Lombardia, di 500 in Emilia Romagna e di neanche un centesimo in Umbria. Siamo sicuri che non dipenda dal partito a capo della regione?

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