Intervista a Mariano Sabatini, autore de “L’Italia s’è mesta”

L’Italia s’è mesta” è un libro scritto da Mariano Sabatini, critico tv del quotidiano «Metro». L’autore ci ha concesso qualche tempo fa un’intervista sul suo libro, molto interessante perché tratta di una questione molto importante: come siamo visti dai corrispondenti esteri. Questo, secondo l’autore, è il modo migliore per capire chi siamo e dove stiamo andando. Perché spesso quando si è dentro, quando si è interessati, non si ha una visione coerente e corretta delle varie questioni. Una lettura molto interessante non solo per capire come ci vedono, ma come siamo, perché, in quanto comunità, il nostro principale compito è comunicare.

– Perché “L’Italia s’è mesta“?

Il mio libro contiene tante scaturigini di mestizia, ben analizzate dai colleghi della stampa estera. Da parte mia, posso dire che il maggior motivo di malinconia è dovuto all’abulia che sembra attanagliare gli italiani. Non hanno più la voglia di assumersi la responsabilità del proprio destino, preferiscono demandarla all’uomo forte del momento. E il discorso vale sia per i sostenitori che per i detrattori di Berlusconi, ad entrambi la sua presenza fornisce rassicurazioni – anche in negativo – che non hanno motivo d’essere.

– All’inizio del suo libro si nota una sorta di dicotomia: da una parte l’Italia quotidiana, totalmente scissa dall’Italia Istituzionale. Come se fossero due mondi paralleli. Perché vi è questa distanza? Di chi è la colpa?

Dei politici che, presi dalle loro questioni, non si occupano, non ne sono capaci, dei problemi della gente. E sì che ci sarebbe da fare.

– La Cultura in Italia non ha vita facile, soprattutto in questo periodo: gli intellettuali sembrano a volte distanti, assenti dal dibattito politico-istituzionale. Perché secondo lei?

Mi ha molto colpito la difficoltà del collega cecoslovacco, Kaspar, che dovendo scrivere dei ritratti di intellettuali per il suo giornale non ha trovato altri che Umberto Eco, un ultra settantenne. Eppoi Saviano, che da noi viene vituperato. Non c’è ricambio. Ma non è vero che gli intellettuali siano assenti, non del tutto almeno. La Guzzanti e Grillo si fanno sentire, eccome. Ormai sono soprattutto i comici, come i vecchi giullari di corte, a spiattellarci in faccia certe verità. Poi non trascuriamo il potere di ricatto governativo: chi si mette contro Berlusconi rischia di non pubblicare più libri, di non apparire più in tv, di non lavorare più, di vedersi scaricati addosso una valanga di dossier.

– Lei ha scelto di formare il suo libro a partire da una visione esterna: il più delle volte ho trovato negli intervistati una sorta di meraviglia di fronte al sistema italiano, all’inerzia che condiziona parte della nostra vita. Siamo davvero così?

Sì. Molti dei corrispondenti stranieri si chiedono se il modello politico italiano non servirà come paradigma per altre nazioni del modo. La sola idea mi sconcerta e dovrebbe sconcertare tutti.

– Alla fine lei fa una dichiarazione significativa: rimanere. Rimanere per una serie di motivi, tra i quali soprattutto l’Humus culturale che l’Italia ha. Una scelta coraggiosa?

Ma no, è una scelta di comodo. Molti dicono di volersene andare e chi davvero lo fa si dimostra coraggioso. Tomasi di Lampedusa diceva che a vent’anni per i siciliani è già tardi… oggi si può allargare a tutti gli italiani, chi nasce e cresce qui fa fatica a percepire l’orlo dell’abisso su cui passeggiamo.

– L’Italia è davvero in Europa?

Sì e per fortuna mi sento di dire. Me ne compiaccio soprattutto per lo sguardo e il controllo che la comunità europea mantiene sul nostro e su tutti i paesi. Se invece mi si chiede se siamo all’altezza dell’Europa, nel rispondere sarei più cauto…

– Qual è il fine del suo libro? Vuole dirci che significa essere visti, cercando anche di capire che non siamo solo noi ad avere “problemi”?

Significa che abbiamo un gran bisogno di guardarci con gli occhi degli altri, al di là delle tante panzane che ci vengono raccontate dai politici e dalla tv. Significa mettersi alla giusta distanza per avere una migliore visione d’insieme. Significa continuare a dare fiducia ai giornali e ai giornalisti, benché Berlusconi inviti a non farlo.

– Tuttora l’estetica ha perso gran parte del suo significato: quando si tratta l’argomento “donna” si parla appunto di un’estetica della donna che si dà per avere. Questo snatura questioni come il merito.

Il greco Deliolanes ritiene che le donne abbiano rinunciato al loro ruolo di vestali del focolare, non cucinano più e questo è male. Io penso che la questione femminile è affidata, oggi, alle stesse donne che negli Settanta rivendicavano giustamente la parità, mentre son cambiate molte cose. Sarebbe utile ridistribuire le responsabilità, ad esempio, dell’uso che la tv fa del corpo delle donne. Mi piacerebbe leggere un’invettiva di una donna contro Belen che, pur potendo rifiutare, si mostra seminuda in tv. Se è vero che la domanda genera l’offerta, è vero anche il contrario.

– Dov’è la speranza?

Nel fatto che le cose possono cambiare da un momento all’altro. Se solo lo vogliamo.

– Ogni capitolo inizia con una domanda. Un gesto di umiltà, un invito a mettersi in dubbio, a chiedere per ascoltare?

E certo. Tutti i miei libri nascono sull’onda di queste spinte. Senza verità rivelate, il mio intento è dare spunti di riflessione. L’Italia s’è mesta è un ritratto possibile, uno dei tanti, non animato da pessimismo ma da spietato realismo.

FONTI

Intervista del redattore

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