Canti

I Canti Orfici

Il più lungo giorno

Anno 1913: un giovane toscano si reca presso la redazione del giornale Lacerba, con sede a Firenze, per consegnare il manoscritto della sua opera intitolata Il più lungo giorno, disponibile in questa unica copia. Ardengo Soffici e Giovanni Papini, fondatori della rivista, non prestano attenzione al manoscritto, non curandosi della sua conservazione, né tantomeno di tutte le critiche mosse nei loro confronti dal proprietario. L’autore in questione è Dino Campana. Il suo unico manoscritto verrà trovato solo nel 1971 tra le carte dello studio di Soffici, presso la casa di Poggio a Caiano.

Dino Campana

La vicenda rocambolesca ed infausta che ha contraddistinto la pubblicazione della sua opera rispecchia il carattere ambiguo della vita di Campana, che merita di essere conosciuta almeno nei suoi tratti salienti. Nato nel 1885 in un piccolo paese della provincia di Firenze, egli vi trascorse i primi anni della sua vita per poi trasferirsi nel 1903 a Bologna, presso la cui università si iscrisse per frequentare il corso di chimica.

Canti
Dino Campana

Alcuni episodi avevano anticipatamente dimostrato he la sua personalità non poteva essere perfettamente compatibile con esigenze di vita comuni. I primi disturbi nervosi che gli erano stati diagnosticati quando era ancora un adolescente si rivelarono nella sua continua voglia di evadere e vagare, adattandosi a svolgere ogni mansione richiesta, da una parte all’altra nel mondo. A tali peregrinazioni si alternavano ricoveri in ospedali psichiatrici, da cui riuscì a scappare più di una volta. Risale al 1907 il viaggio di Campana in Argentina, e al 1909 quello in Belgio, al termine del quale visse un periodo di relativa stabilità presso Bologna.

I Canti Orfici

Proprio in questo periodo nacquero I Canti Orfici, unica testimonianza letteraria dello scrittore errabondo. Tale opera si prefigura come rito d’iniziazione in vista dell’oscuro cammino dell’esistenza. Il titolo I Canti Orfici è un evidente riferimento al cantore Orfeo, celebre figura della mitologia greca. Campana, come il suo famoso predecessore, ha intenzione di percorrere le vie occulte della propria vita e dell’esperienza complessiva dell’esserci per carpirne il significato profondo, al di là del contrasto con la morte.

Il buio apre la strada al viandante, eroe in cerca della propria identità e del fine umano. Il prosimetro si apre con il poemetto La Notte e prosegue con sette Notturni in versi. Tutto è immerso in un’atmosfera cupa, nella quale si manifestano lungo il cammino delle figure illuminate ed illuminanti. Le chiavi disvelatrici dell’esistenza appaiono cariche del loro massimo significato simbolico. Si prenda come esempio La Chimera, protagonista dell’omonimo notturno che inaugura le sezione presente nel testo.

Il fugace volto della donna, sospeso nel tempo, evoca l’eterno potere visionario della poesia. La comunicazione con gli altri riveste un ruolo marginale, è la liceità del poter essere ed esprimersi ad assumere importanza. Lo stesso atto di riconoscere la propria situazione di perdizione e la denuncia in forma poetica sanciscono la sacralità del momento, il carattere metafisico dell’autore in quanto rivelatore di una realtà. Ma si tratta innanzitutto di una realtà personale. Un cammino che attribuisce all’approdo una grande carica epifanica: ogni passo è una rivelazione.

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