Ho fatto a pugni con William Faulkner

Ho conosciuto William Faulkner relativamente tardi. Avevo ventinove anni, un romanzo pubblicato alle spalle e leggevo libri con la speranza di trovare uno scrittore che riuscisse a prendermi a sberle, farmi scottare la pelle; perché è quando sento le sue parole sulla pelle che mi viene da dire che uno scrittore ha fatto centro. Devo aprire un libro, iniziare a leggerlo e ogni tanto sentire il suono della macchinetta per tatuaggi che lavora: zzzzzzz.

Dicevo, ho conosciuto Faulkner relativamente tardi. In quel periodo mi stava capitando troppo spesso di leggere libri (anche di grandissimi autori) e di pensare alla parola “Boh”. Questo mi capita anche quando rileggo le mie cose. Mi piace leggere e scrivere, ma accompagnato sempre da questa invadente apatia; eppure continuo a leggere e scrivere. Perché? Boh. (Ecco, un’altra volta)

Troppe volte prendo tra le mani un libro e mi sento come quando esco con una ragazza e ogni dieci minuti guardo l’orologio. Mica bello.

E un libro è come una persona, non pensate che sia molto diverso.

Capitai quasi per caso, facendo zapping di siti, su una pagina che parlava di uno scrittore americano, che vinse il Nobel per la Letteratura nel 1949. La cosa non mi colpì particolarmente. Poi scesi con il mouse e lessi alcune cose su di lui.

In un’intervista, disse: “Sono convinto che se potessi scrivere di nuovo le mie opere riuscirei a migliorarle, e questo, per un artista, è in assoluto una cosa positiva. Ecco perché l’artista non smette di lavorare, provare e riprovare; ogni volta crede che sarà la volta buona, che ce la farà. E’ ovvio che non ce la farà, ed è per questo che la situazione è positiva. Se ce la facesse, se riuscisse davvero a portare l’opera all’altezza dell’immagine, del sogno, non gli resterebbe altro che tagliarsi la gola, buttarsi giù da quel pinnacolo di perfezione, verso il suicidio.

Pensai: cazzo, ‘sto qui mi sta dicendo che la mia apatia è positiva, forse.

Andai avanti a leggere: “…Io sono un poeta fallito. Forse ogni romanziere attraversa un momento iniziale in cui vuole scrivere poesie, poi scopre che non è in grado di farlo, e allora prova con i racconti, che dopo la poesia sono il genere più impegnativo. E solo allora, dopo aver fallito anche  in quello, comincia a scrivere romanzi.

Ottimo, sapeva tutto di me e non ci eravamo nemmeno bevuti una birra assieme.

Cercai più informazioni su di lui.

Trovai una sua dichiarazione su Hemingway: “Non ha coraggio, non si è mai arrampicato su un ramo sporgente. non ha mai usato una parola che inducesse il lettore a controllare sul vocabolario per vedere se è usata correttamente”.

Ma chi si credeva di essere questo Faulkner?! In un certo senso, questa frase mi fece quasi tenerezza: forse era solo invidioso.

Andai avanti e trovai un’altra intervista.

Intervistatore: “Alcune persone dicono di non riuscire a capire la sua scrittura, anche dopo averla letta due o tre volte. Che cosa suggerisce loro di fare?

Faulkner: “Leggete quattro volte

Adesso basta, pensai. Era troppo presuntuoso, a tratti arrogante. Decisi, quindi, di uscire e andarmi a comprare il suo romanzo più famoso: L’urlo e il furore.

Tornai a casa stringendo il romanzo tra le mani, cercando di fargli male, camminando come un pugile che sta salendo sul ring, sicuro di vincere:

“Leggete quattro volte. Tsè”, sorridevo.

La sera mi sdraiai sul letto, sbadigliai e iniziai a leggere.

L’incipit mi colpì (cosa rara), però sorrisi di nuovo: “Scrivi abbastanza semplice, vecchio mio, forse anche più di Hemingway”

Girai a pagina due e iniziai a non capire cosa stesse accadendo, ma non mi preoccupai: sorridendo mi ero evidentemente distratto. Arrivai alla decima pagina e decisi serenamente di ricominciare daccapo. Rilessi le prime otto pagine e mi fermai di nuovo. Forse ero un po’ stanco. Lo richiusi e andai a dormire.

La mattina rilessi le prime dieci pagine e iniziai a innervosirmi.

“Questo libro non mi piace”, pensavo, mentre andavo su Google a cercare aiuto. Sì, un aiuto. Per un libro. Io. Non mi era mai capitato. Maledetto.

Scoprii che nel primo capitolo stava parlando un malato mentale di 33 anni e non un bambino, come invece avevo capito io. Mi stava prendendo anche per il fondello.  Lessi che esiste un’appendice, in fondo al romanzo, messa in seguito alla pubblicazione, che aiuta i lettori più in difficoltà a capire la storia. Maledetto.

Ovviamente decisi di non leggerla. Dovevo vincere Faulkner con le mie mani, girando tutte quelle pagine, da solo, senza aiuti.

Per la prima volta lessi un libro intero senza capirci un accidente. Eppure non dissi mai “Boh”. Mi feci prendere a pugni tutto il match, contro un angolo. Sapevo che avrebbe vinto lui già dal primo round, io mi sarei accontentato di rimanere in piedi fino alla fine. Non lo avevo capito, ma le sue parole le avevo sentite (zzzzzzz) in ogni pagina. Che roba strana. Le sue parole sono pugni di una potenza incredibile, ti intontiscono e anche i giorni dopo senti i lividi pulsare. La sua scrittura è potenza.

Sono pugni, unghie che ti graffiano, lacerano piano. E’ il grigio. E’ cupo e caldo, insieme. Con lui ho dovuto essere umile, leggere per la prima volta con una matita in mano per segnarmi le cose. Mi ha sconfitto con una mano. Ecco, vi do solo qualche suggerimento:

– Siate meno presuntuosi di me. Lui, non lo è affatto.

– Se non avete mai letto Faulkner, non iniziate con L’urlo e il furore. Che ne so, partite con “Mentre Morivo”, vi ritrovereste pagine del genere, che vi faranno almeno capire con chi avrete a che fare:

– Ho dovuto leggere l’Urlo 5 volte, prima di capirlo BENE. E vi assicuro, ne vale la pena. Ho la pelle che scotta ancora. Non sfidate lui, non azzardatevi. Una volta non basta. Perdereste. Al massimo sfidate me: provatelo a capire con meno di 5 riletture, se vi piacciono i tatuaggi. (Senza aiutino però, eh)

 

credits

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