The Neon Demon: la bellezza è l’unica cosa

di Diego Maroni

Che i loro film piacciano o meno, c’è una cosa in cui i registi danesi sono primi al mondo: far parlare di sé. I suoi due campioni, Lars von Trier e Nicolas Winding Refn, riescono in ogni occasione a rubare la scena ai colleghi, e non necessariamente per meriti artistici. Quando poche settimane fa The Neon Demon, l’ultimo film di Refn presentato a Cannes, ha ricevuto i sonori fischi della critica e non pochi paragoni a Melancholia (l’ultima pellicola con cui von Trier ha partecipato per l’ultima volta al Festival nel 2011), il regista di Drive è andato su tutte le furie, raccontando di come von Trier, a cui si è riferito definendolo “un drogato malato di mente“, abbia provato a portarsi a letto sua moglie. Da parte sua lo stesso von Trier aveva creato molto rumore intorno a sé proprio nel 2011, quando durante un’intervista si autodefinì un neonazista, portando la giuria a decidere di espellerlo dalla competizione.

Il sollevamento di simili polveroni è un peccato perché, sebbene porti molta visibilità ai protagonisti di questi episodi, spinge in secondo piano quello che dovrebbe essere il vero fulcro della discussione: i film. The Neon Demon è probabilmente un film più unico che raro nella storia del cinema fino ad oggi e, come molte opere che non ottengono subito i dovuti apprezzamenti, non pare destinato ad aprire la pista ad un nuovo genere. Nella stessa filmografia di Refn, che pure presenta perle come il già citato Drive o anche Bronson, The Neon Demon è un caso a sé e rappresenta il termine di quel percorso artistico che nella penultima pellicola, Only God Forgives, era solamente un’idea (costruita male e realizzata peggio).

The Neon Demon non è stato girato per essere visto. È stato girato per essere contemplato. Dal primo all’ultimo fotogramma tutto quello che fa Refn (affiancato dallo scenografo Elliott Hostetter e dal direttore della fotografia Natasha Braier) è comporre una sinfonia di immagini e luci per i nostri occhi, il tutto condito e sottolineato dalla pressante colonna sonora di Cliff Martinez la quale, con i toni cupi e incalzanti di un sintetizzatore, è parte integrante dell’atmosfera che si crea nella sala.

Lo sviluppo di un senso estetico, più o meno forte ma in ogni caso sempre presente, è qualcosa che è per forza connaturato al mestiere del regista. Tuttavia solo per i più grandi si può affermare che questo senso si evolve in una poetica, cioè in un linguaggio sedimentato e fisso. Sicuramente su tutti spicca Stanley Kubrick, ma anche per molti altri, da Scorsese a Leone fino a Wes Anderson con la sua simmetria ossessiva. Per ciascuno di loro è indubbiamente importante l’impatto visivo, ma ad esso viene equiparata una narrazione fluida, interessante, densa. Non ci si può astenere dal parlare della follia di Mr. Torrance quando si ha davanti il fotogramma del bagno inondato di rosso dell’Overlook Hotel; non si può parlare delle inquadrature cult di capolavori come C’era una volta il West senza nominare gli intricati rapporti tra i personaggi.

Immagine inserita dal revisore

Sarebbe un errore affrontare una pellicola del genere volendo ricevere come risposta un discorso intellettuale da parte di Refn sul senso della vita: se ne uscirebbe sicuramente delusi. Certo qualche spunto di riflessione c’è, sparso qua e là in una sceneggiatura francamente troppo debole e quasi sempre superflua, ma non è questo che interessa al regista. The Neon Demon parla una lingua che è contraria rispetto al 99% del cinema a cui possiamo essere abituati: la mossa vincente (e a suo modo sovversiva, sicuramente) del danese, e probabilmente il motivo che ne ha decretato il sostanziale fallimento a Cannes, è l’aver eliminato quasi del tutto la narrazione per concentrarsi in maniera maniacale sull’estetica dell’opera. Certo non sono trascurabili le buone interpretazioni degli attori, due delle quali veramente ottime (Elle Fanning e Abbey Lee), ma si tratta di meri manichini che Refn muove e usa a sua discrezione per dare vita all’opera finale. Ogni cosa che non sia finalizzata alla composizione è giudicata inutile, e scartata.

Tutti questi fattori rendono la visione di The Neon Demon una vera e propria esperienza sensoriale, destinata a rimanere negli occhi dello spettatore decisamente a lungo. Il motivo è sicuramente la forza e l’insistenza del regista nel perseguire questo tripudio di colori dai toni accesi, iper-saturi e vibranti. Non è un caso che fino ad ora non si sia parlato della trama, sicuramente la parte meno interessante dell’opera, riassumibile in una frase: Jesse, giovane e bellissima, entra nel mondo della moda losangelina ottenendo da subito un successo senza pari e attirando su di sé l’odio e l’invidia delle colleghe più adulte.

Si potrebbe dire che, essendo la storia incentrata sull’universo del fashion e dell’alta moda, Refn abbia scelto di tradurre quell’ambiente con un linguaggio filmico che è tutto forma e niente sostanza, proprio come i personaggi che per due ore si avvicendano sullo schermo. In realtà una lettura accurata del film porta a concludere tutto il contrario. Chiunque conosca minimamente la sua filmografia (Drive ne è un ottimo esempio) sa che Refn è un ottimo narratore, capace di unire storie capaci di catturare l’attenzione a ritmi lenti in partenza poi accelerati dal crescendo finale. Tuttavia, pur ipotizzando un calo (anche drastico) nella qualità della narrazione, non si arriverebbe a una trama vuota come quella di quest’ultima pellicola. La conclusione è che la storia parla del mondo della bellezza perché il film vuole avere una forte impronta estetica, non il contrario. In altre parole, il regista danese sceglie di parlare di modelle e passerelle perché queste sono lo scheletro perfetto attorno a cui montare la propria eclettica creazione barocca e manierista.

Il senso ultimo del percorso fatto da Refn è condensato in quella che forse è l’unica luce in una sceneggiatura altrimenti completamente spenta. Durante una discussione sulla bellezza tra Dean, spasimante di Jesse, e Paul, lo stilista superstar per cui lei ha da poco sfilato, quest’ultimo dice: “La gente pensa che la bellezza sia tutto, ma si sbaglia. La bellezza è l’unica cosa.

 

 


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