The Neon Demon: Il demone della Bellezza

A Cannes The Neon Demon è stato fischiato. Nella sala in cui l’ho visto io, due persone – che, va detto, rappresentavano la metà degli spettatori – si sono alzate sui titoli di coda borbottando “che schifo di film!”. Mentre io ero in uno stato di eremitaggio mentale, e lasciavo che lo scorrere dei titoli di coda esaurisse il flusso di suggestioni che l’ultimo film di Nicholas Winding Refn ha innescato prepotentemente nella mia corteccia prefrontale, qualcuno ha fatto vibrare le corde vocali, spezzando quell’illusione un po’ magica e malvagia in cui il film mi aveva imprigionato. E forse è meglio così, perché, al di là dei gusti, l’ultimo film di Refn è uno di quelli che si insinuano sottopelle, evocativo al punto da chiudersi come una prigione di cristallo attorno a chi ha l’incoscienza di lasciarsene sedurre.

Jesse (Elle Fanning) è una giovane dalla bellezza pulsante, diafana. Trasferitasi a Los Angeles, le porte del tempio dell’alta moda le si spalancano davanti, mentre l’innocenza dei suoi quindici anni viene presto corrotta dalla superbia. Attorno a lei si condensano le ire delle altre modelle, Sarah e Gigi (Abbey Lee e Bella Heathcote), l’amicizia morbosa della truccatrice, Ruby (Jenna Malone), e le attenzioni di un mondo maschile atrofizzato, monodimensionale.

In un’intervista rilasciata a Milano Refn ha dichiarato di essersi ispirato a Dario Argento nell’uso delle luci, e non è difficile crederlo: The Neon Demon deve a Suspiria l’uso espressionista dei colori, e la stessa ambientazione – una Los Angeles iperpatinata e claustrofobica – non è altro che la riproposizione in chiave contemporanea dell’esclusivissima Accademia di Friburgo. Non è la prima volta che un regista decide di ambientare un horror nel mondo della moda, ma NWR lo fa con una classe tale da annullare il confine tra cinema “d’autore” e pellicola “di genere”.

Dietro alla patina glitterata, però, The Neon Demon nasconde un cuore demoniaco, abilmente nascosto sotto strati e strati di fondotinta e simbolismo. Per Refn l’industria della moda non è altro che un immenso carrozzone funebre, popolato da mostruosità imbalsamate, asfittiche, sull’orlo dell’anoressia; a rendere palese il collegamento è sicuramente la figura di Ruby: di giorno truccatrice sui set fotografici, di notte si sposta negli obitori, dove file di corpi attendono di essere imbellettati prima della bara.

neondemon

La bellezza, per parafrasare uno stilista del film, è tutto. La bellezza è il dono per eccellenza, e averlo, come dice Jesse, vuol dire avere il mondo ai propri piedi. Ma la bellezza, aggiunge Refn, è distruttiva. Porta all’annullamento di sé chi la cerca a ogni costo, ma spinge sull’orlo del baratro anche chi ce l’ha, incapace di vedere altri all’infuori di sé. E The Neon Demon questo lo mostra utilizzando unicamente la suggestione dell’immagine cinematografica, lasciando parlare inquadrature zeppe di specchi, corpi riverberati all’infinito, triangoli e volti catturati nella più piccola smorfia. A fronte di una sceneggiatura già vista, insomma, The Neon Demon è un gigantesco cristallo su cui si affacciano, deformandosi, demoni lunari, riti cannibalici e inquietanti divinità al neon, tutto questo mentre Refn si diverte a fotografare Los Angeles come fosse la prima pagina di Vogue.


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