Ludovico Einaudi, un classico d’avanguardia

Classico: spesso antico, ma sempre di attualità. In musica spesso associato al trio Bach-Mozart-Beethoven. Ma può essere qualcosa di classico anche moderno? Tra le numerose e affascinanti etimologie ne esiste una di ambito musicale. Il classico è inteso come l’elemento di richiamo per eccellenza in un determinato campo, come non poteva essere che lo squillo della tromba – il classicum – a richiamare i militari al loro compito alla battaglia.

Classico, uno dei tanti – scegliete tra minimalista, all’avanguardia, poi chi più ne ha più ne metta – epiteti appiccicati a Ludovico Einaudi. Chiedetegli se si definisce un pianista classico o peggio “neoclassico” e vi fulminerà: “Forse qualcuno fa un’associazione molto superficiale per l’utilizzo di alcuni suoni o l’orchestra. Questo termine non mi appartiene affatto, mi evoca qualcosa di accademico e un po’ lezioso.”

Non è infatti il recupero della strumentazione orchestrale a fare di Einaudi un classicista o un neoclassicista. Del mondo della musica classica di Chopin, di Mozart e del da Einaudi tanto apprezzato Stravinskij, egli cerca di recuperare il rapporto stretto con le melodie di origine pop, nel senso di popolare.

È importante per la musica essere fruibile e non essere intellettualistica, senza disprezzare aspetti del linguaggio musicale comprensibili da molte persone e per questo apprezzabili, in cerca di una semplicità che è valore, non banalità. Proprio come entrare in un giardino giapponese: ogni cosa è semplicemente al suo posto e non potrebbe essere altrove.

L’utilizzo di motivi popolari, come le melodie africane che pervadono l’album I giorni, si intreccia nel mondo sonoro di Einaudi con la rielaborazione in chiave più armonica e orchestrale di gruppi classici del rock moderno quali Beatles, Rolling Stones e Radiohead, da cui il compositore ha sempre dichiarato di essere influenzato. Le parti di chitarra elettrica nel nuovo album Elements o quelle di elettronica sperimentale in Nightbook non sono in questo senso una novità.

Nella galassia sonora di Einaudi, accanto alle influenze di melodie popolari e rock, un posto di rilievo lo occupano non solo importanti correnti musicali come il minimalismo americano di Philip Glass o la canzone pop francese degli anni ’50, al pari delle forme musicali e strumentali di altre come  la musica etnica da cui nasce l’album Diario Mali, composto con pianoforte e kora, strumento a corde dell’Africa Occidentale. Tipico di culture extra-europee e adottato da Einaudi è l’ampio uso con funzione quasi ipnotica del loop.

Oltre alla componente più strettamente musicale sono anche opere letterarie a ispirare il compositore nella sua visione del mondo, visione che si tramuta in concetti e attraverso i concetti in musica. Così i testi di Virginia Woolf che ripropongono una riflessione sul ciclo del tempo, sono trasfigurati da Einaudi in Onde (1997) che si riverberano nell’anima del protagonista in un’altalena fra esaltazione e depressione.

Così gli elementi (Elements) che costituiscono il mondo – sulla falsariga del De rerum natura di Lucrezio o della filosofia di Empedocle – sono punto, linea, frammento di un percorso individuale come nel saggio Punto, linea o superficie di Kandinskij.

Come si può essere d’avanguardia quando si rielabora così tanto materiale noto? Forse, il carattere peculiare della musica di Einaudi è di porsi come rielaborazione personale e originale di un bagaglio condiviso della collettività, che passa anche attraverso il recupero della musica classica nella sua tradizionale accezione, ma che la ritraduce, la modernizza e la adatta ai tempi incorniciandola in un nuovo contesto, aprendo nuove strade, all’avanguardia di un nuovo sentiero inesplorato per la musica che sia di riferimento, un classico, per i musicisti a venire.


 

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