Easy rider: il mito di una generazione on the road

Easy rider é un film del 1969 che racconta la storia di Billy (Dennis Hopper) e Wyatt (Peter Fonda) i quali, dopo essersi procurati soldi a sufficienza, comprano due choppers e partono per un viaggio che li porterà ad attraversare gli Stati Uniti, dalla California a New Orleans, per vedere il carnevale. Nelle loro vicende i protagonisti incontreranno, tra gli altri personaggi, un avvocato alcolizzato interpretato da Jack Nicholson e saranno ospiti di una comunità di hippy.

Nel film ci sono tutti i temi e valori forti degli anni 60: marijuana, LSD, il pacifismo, la protesta, la musica rock, la condivisione col prossimo e lo scontro tra l’ideologia di libertà dei due protagonisti e la realtà che rappresentano.
Billy e Wyatt incarnano sentimenti e speranze sempre vivi nei giovani di tutte le generazioni, motivo per il quale i due protagonisti simboleggiano un mito oltre che un desiderio connaturato all’uomo.

Oggi Easy rider appare un film ingenuo e semplice, ma il suo merito principale è stato quello di aver saputo interpretare e mitizzare le aspirazioni di tutta una generazione e, nello stesso tempo, di aver indicato nel pubblico giovanile un target cui l’industria cinematografica nel tempo si è sempre più spesso rivolta.
Easy Rider è un film assolutamente anticonvenzionale. È la prima pellicola indipendente (prodotta da Peter Fonda) distribuita da una major (La Columbia Pictures) ed é proprio Hopper, su richiesta di Fonda e Nicholson, che dà vita al soggetto, a mettersi dietro la macchina da presa e firmare la regia.
Il direttore della fotografia Laszlo Kovacs è il migliore operatore con il teleobiettivo che Hopper conosca. Tutti gli attori professionisti che recitano nel film sono amici con cui i protagonisti hanno già recitato ed Hopper sceglie gli attori minori sul posto, gente comune, rifiutando spesso di usare gli specialisti delle locali compagnie teatrali che incontra durante i sopralluoghi. La scenografia è quasi tutta “naturale“, niente è fatto in studio, viene solo ricostruito sul posto quello che non si ha il permesso di riprendere.
Molte scene e dialoghi sono stati improvvisati durante le riprese come nel bar in Louisiana, in cui i tre amici si fermano per mangiare qualcosa, racconta il regista: “Avevo un tipo che andava avanti ad esplorare: io non volevo piccole compagnie di teatro. Ma in ogni città, lui riusciva a trovarne una. A Morganza, in Louisiana, non c’era altro che questo caffè. Lui aveva portato degli attori. lo invece avevo visto questi tipi, lo sceriffo vero ed altri. Dico: ”Voglio quelli lì”. Lui risponde: ”Sei matto? Quelli impiccano la gente’. E io: ”Voglio loro”.
La struttura è anti-classica, non c’è l’immedesimazione con i personaggi, il finale è chiuso e tragico, non vi è happy end.

Immagine inserita dal revisore

É girato in 35 mm. panoramico ma il Carnevale di New Orleans e la scena del cimitero vengono riprese in 16 mm. poi “gonfiate” a 35.
La fotografia “senza fronzoli” è splendida, coglie dei paesaggi naturali straordinari; non vengono usati dolly o carrelli, ma si sfrutta il camera-car per seguire i personaggi mentre cavalcano i choppers.
Il montaggio è frammentario, senza regole.

In questo film si da molto spazio all’esperienza delle droghe e alla psichedelia che erano alcune delle caratteristiche di quegli anni. Proprio attraverso le droghe o il raggrupparsi tra simili si cercava la libertà; nel momento in cui c’era l’incontro con gli altri, si riscontrava l’oppressività della società stessa, una collettività poco propensa a creare spazi per giovani che volevano contestarla. È il primo film in cui “la marijuana viene fumata e chi la fuma non va poi ad uccidere delle infermiere o cose del genere, sembra invece una droga relativamente passiva“, spiega Hopper, che mostra come all’effetto di questa sostanza si debba lo stile di linguaggio della pellicola; Kovacs dichiarerà che, in mezzo a quel delirio, almeno l’operatore doveva rimanere savio se si voleva che venisse fuori un film.

In Easy Rider la cavalcata sulla moto ha una dimensione mitica grazie alla colonna sonora, difatti, é la prima volta che per un film veniva usata musica già esistente. Hopper dichiara che ha rotto gli accordi con Crosby, Stills, Nash e Young per l’uso della loro musica dato che si era innamorato delle canzoni che ascoltava in moviola, così usò quelle: “Io volevo conservare l’attualità della musica dell’epoca in cui l’ascoltavamo […] per metterla nel film bastava chiedere al musicista“. La colonna sonora ha un impatto notevole e insieme alla sequenza del cimitero è il momento di grande novità del linguaggio, non tanto dal punto di vista prettamente cinematografico, nel cinema muto i film avevano delle sequenze ritmate che prendevano vita grazie all’intervento musicale, ma perché senza il rock la scena non avrebbe avuto senso.

In qualche modo la pellicola si inscrive oltre che nel filone on the road anche nel genere di film musicale moderno: momenti del girato prendono vita grazie proprio all’intervento della musica. È un film che parla di libertà, ed è realizzato in stile libero, quasi documentaristico; è una pellicola girata in strada, in cui la colonna sonora ha una grande importanza: le canzoni di Steppenwolf, The Birds, Jimi Hendrix, Bob Dylan diventano spesso protagoniste della narrazione, sono il collante delle situazioni e raccontano il viaggio dei Buffalo Byll e Capitan America degli anni ’60.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.