Una torta può dire cose che voi umani…

L’inconfondibile tristezza della torta al limone, edito da Minimum Fax, è un libro di Aimee Bender. In copertina una succulenta fetta di torta al limone, la cui ombra è la sagoma di una donna. Ho trovato subito intrigante quell’allusione a L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera nel titolo… Tutti i presupposti erano buoni insomma.

Dalla prima riga si rivela essere un po’ claudicante. Emerge questa bambina di 9 anni, che parla come un’adulta sotto certi aspetti, non tralasciando però le piccole ingenuità tipiche di quell’età. All’inizio pensavo si trattasse di una storia senza alcun processo evolutivo. Invece, proseguendo, la storia si traccia un percorso che porta Rose, la narratrice e protagonista, verso il mondo degli adulti, in un vero e proprio romanzo di formazione. Rose ha un potere molto particolare a fare da sfondo: riesce a scomporre il gusto del cibo, cogliendo tutte le sue sfumature (da dove viene, chi l’ha raccolto, che cosa pensava quando l’ha raccolto, ecc.), comprese le emozioni profonde di chi l’ha preparato. All’inizio la scoperta è tra il drammatico e il comico, ma poi riesce a conviverci senza troppi problemi, anzi…

Altra protagonista è la famiglia di questa bimba prodigio, i cui personaggi, all’inizio sfocati, emergono sempre di più, nelle loro particolarità e nella loro bellezza: il padre, un avvocato sempre dedito al suo lavoro, con un cuore grande, e che non ha mai messo piede dentro un ospedale, nemmeno quando nacquero i suoi figli, la madre, che ha mille preoccupazioni, mille frustrazioni, ma che nonostante questo si mostra sempre allegra, passando il suo tempo elaborando dolci su dolci, tutti buonissimi, tranne che per Rose, mostrando che a sentire i sentimenti nel cibo non è che ci guadagni tantissimo, in questo caso soprattutto, e il fratello, Joseph, un genio in fisica, un personaggio molto cupo, romantico quasi.

In tutto questo il potere di questa ragazza è quasi marginale: aiuta solo a capire meglio il background di una famiglia americana, usuale, all’apparenza felice, ma che in realtà nasconde tante cose. Si traccia il simbolo di un crollo di quelle certezze che la permeavano, e questa evidenza pone le sue basi proprio nel cibo, dove risiede il fondamento della vita umana.

Non aspettatevi un’eroina che salva delle persone, né una storia a lieto fine, in cui tutti sono felici e contenti: è un romanzo vero, che va nel cuore di una bambina che sta crescendo in mezzo a mille difficoltà, perché vede la verità prima degli altri, più degli altri, e deve riuscire a conviverci, a tacere, a non dire troppo, a mentire. Non è una tragedia, né tantomeno un dramma: è un romanzo leggero, piacevole, molto scorrevole. Non so come, ma ti dà una qualche speranza, molto vaga.

In sintesi questo romanzo di Aimee Bender è un bildungsroman un po’ atipico, con personaggi ben delineati, uno stile all’inizio incerto, ma che poi tiene bene il passo, adattando il linguaggio alle varie età della protagonista (cosa pregevole). E descrive con gli occhi di una ragazzina un mondo molto più grande di lei, riuscendo a dare l’idea di che significhi essere piccoli di fronte alle pretese di questo mondo adulto, che sembra già pronto a tutto, quando invece è anche più immaturo di una bambina. Basti pensare che gli adulti, o quelli che si credono tali, in questo libro sono totalmente incapaci di dire le cose, di parlare, di relazionarsi – e nella realtà non penso sia tanto diverso. Rose, la protagonista, lo evidenzia sin da bambina, dimostrando quanto l’idea di maturità sia labile.

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