Van Gogh, Houellebecq e la sottomissione che non c’è. Forse

Nel gennaio scorso, Michelle Houellebecq con il libro Sottomissione ha riportato alla ribalta il tema Islam e sottomissione come naturale atteggiamento tipico del credente islamico, in particolare della donna. Uno spunto che risale a dodici anni fa, a Submission, il documentario del 2004 di Theo Van Gogh. Il regista olandese pagò con la sua vita per il cortometraggio, imperniato su un caso di violenza e arbitraria repressione sulla donna in una famiglia islamica: in una parola, sottomissione. Questa sembra la traduzione invalsa per il termine islam, che – dal verbo aslama – esprime l’idea di abbandonarsi liberamente alla volontà di Dio.

La storia della protagonista è un coacervo di violenze fisiche e psicologiche gratuite da parte di un marito imposto e mai scelto, stupri seriali subiti dallo zio, cui i familiari danno protezione…perché uomo. Ma allora, se è solo una denuncia contro una condizione intollerabile, perché la morte di Van Gogh? Bisogna spingersi un po’ oltre, senza per questo giustificare, sia ben chiaro, assassini che rimarranno tali.

Pensate però ad una religione dove per la donna bisognerebbe “coprire le parti belle”, che non equivale necessariamente a indossare il burqa, ma a vestirsi decentemente. Prendete il Corano, testo eterno increato per l’Islam e veneratissimo dai musulmani perché dato da Dio e la cui scrittura è sacra e scrivetene versetti sulla carne nuda di una donna. Possiamo considerare una pratica simile una denuncia contro un’inaccettabile violenza sessista o una mancanza di rispetto al limite della bestemmia? Se poi aggiungiamo affermazioni come Il verdetto che ha ucciso la mia fede e il mio amore è nel tuo libro sacro. Fede in te, sottomissione in te. Sembra come un tradimento a se stesso…, è difficile non alimentare ulteriori incomprensioni.

Foto inserita dal revisore

Ma allora stiamo diventando tutti bigotti, si potrebbe dire. Bisogna rispettare le opinioni e le critiche altrui. Vero, ma non si può perdere mai la regola del buon senso. Il buon senso di comprendere che associare il nome stesso di una religione con odiosi episodi di violenza carnale affatto giustificati dal Corano, falsifica in primo luogo il significato della parola stessa Islam e in secondo luogo getta benzina sul fuoco dei fondamentalismi.

Quale giustificazione ha una violenza simile? Nella Sura IV, 34 si dice: quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattarle; che Iddio è grande e sublime”. Il materiale per le distorsioni c’è tutto, purtroppo: basta vedere il video di questi esagitati sauditi che parlano di come picchiare la moglie.

Il problema c’è ed esiste. Ricordiamoci però che come in alcuni paesi islamici (Arabia in testa) dove queste violenze sono apparentemente giustificate, più della metà degli studenti è donna. Come si evince, il problema non è cosa si denuncia, ma come lo si fa, rischiando di mettere la bontà delle proprie osservazioni in secondo piano. Nel caso di Van Gogh, qual è – se esiste – il discrimine fra creatività dell’artista e blasfemia? La nostra libertà di stampa è così assoluta o risente anche della libertà del prossimo? Val la pena fermarsi e riflettere…

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