Primarie americane: una brevissima analisi.

Di Italo Angelo Petrone

Le primarie dei due più grandi partiti degli Stati Uniti d’America sono un appuntamento fisso per la galassia mondiale dell’informazione politica. Volendo o nolendo tutti sanno come stanno andando, che tu sia un capitalista filoamericano tanto quanto un veterocomunista staliniano, dovrai farci i conti e, anche se non vorrai, sceglierai un candidato che ti starà più simpatico. Una sorta di tifo politico globale a cui tutti gli stati si sottopongono. Del resto, il paese in questione è quello che sta guidando la politica internazionale, l’economia globale e dunque influenza, se anche indirettamente, le nostre vite. Basti pensare al TTIP, il trattato di commercio transatlantico, molto discusso ultimamente sui media europei.

Oggi vorrei presentare una breve analisi dei candidati, in corsa e non, per successivamente fare una sintesi su chi è il candidato più forte in termini comunicativi, cosa che ci porterà ad una conclusione sulla base di alcuni indizi e assunti iniziali. Faccio una premessa che cerca di anticipare eventuali polemiche: qui parleremo di strategia comunicativa, non di meriti di forma. Mi spiego, per esempio, il fatto che Obama sia stato il primo presidente di colore è stato un bene, a mio avviso, ma sicuramente anche un forte vantaggio in termini comunicativi, oggi ci interessano i termini comunicativi, dunque cinicamente quei fattori che convincono una base elettorale, a prescindere dalla componente etico-morale.

Partiamo dagli assunti. Per una efficace campagna politica, specialmente negli Usa, il paese dove la scienza della comunicazione e il marketing sono due campi avanzatissimi, servono alcuni ingredienti. Il primo è ovviamente una comunicazione efficace. Cosa vuole dire? Vuol dire chiara, semplice, adattata all’orecchio dell’elettore medio del rispettivo bacino. Inoltre la strategia comunicativa deve non solo assicurarsi il bacino dell’elettore medio ma anche cercare quegli elettori più estremi, estremi in termini radicali ma anche estremi in termini moderati. Ovvero bisogna acchiappare il repubblicano medio, poi i repubblicani un po’ a sinistra, possiamo chiamarli moderati, e quelli estremi a destra, chiamiamoli pure i nazionalisti, lo stesso vale per i democratici. Insieme a questo poi c’è da fare un lavoro immaginifico, ovvero, dare agli elettori le immagini che vogliono, tipo Trump con la patriottica aquila americana sul braccio, Sanders tra i giovani e gli studenti, Hillary con le femministe, insomma questo. Di cosa stiamo parlando alla fine della fiera? Stiamo parlando non solo di una comunicazione efficace ma anche della creazione di un personaggio politico, la creazione di una identità, personale e politica.

Tutti ricordiamo la spettacolare campagna di Obama, la prima. Dove quello che sarebbe diventato il primo presidente di colore degli USA, si era costruito una immagine a dir poco sublime in termini comunicativi: ha sfruttato al massimo il suo colore della pelle, ha giocato sulla provenienza multiculturale del suo albero genealogico, sulla sua eccellente formazione, sul non avere una religione predeterminante nella sua vita, sul fatto di essere figlio di immigrati, uomo libero e povero che da solo si è inserito nella upper-class americana. Obama era l’americano non americano che ce l’aveva fatta e in aggiunta a questo offriva protezione sociale per chi si identificava in lui. Poche le sue parole a favore dei grandi poteri. Inoltre pienamente democratico, quindi poco aggressivo in termini militari, un po’ socialista, rispettoso delle enormi differenze culturali che il paese come il suo ospita, è diventato un simbolo, un vero e proprio fenomeno politico e mediatico. Ha vinto, contro un scialbo McCain.

Ma ora passiamo alle elezioni di quest’anno e vediamo subito di quali candidati parlare. Tra le file dei democratici sono pochi quelli che ci interessano veramente: Hillary Clinton e Bernie Sanders. Tra i repubblicani abbiamo l’ormai vincitore Donald Trump e a seguire Ted Cruz, Marco Rubio, e prima Jep Bush. Escludiamo Kasich in quanto non è mai stato un vero papabile al GOP e gli altri per via del loro ritiro immediato.

Come in un torneo calcistico, partiamo dalle primarie dei rispettivi partiti per poi analizzare la sfida Hillary-Trump, che se anche non matematicamente definitiva è praticamente certa.

I democratici. Quest’anno si presentano in due come veri sfidanti, all’inizio a dir il vero sembrava che la Clinton dovesse passare attraverso delle primarie scontate, dato che Sanders e l’altro candidato Martin O’Malley erano degli outsiders. O’Malley si ritira dopo il primo voto, dove Sanders e Clinton praticamente pareggiano. Sanders riscuote un successo inaspettato. Vediamo perchè. Ecco le schede.

Hillary Clinton: moglie dell’ex presidente Bill Clinton, dopo una carriera nelle istituzioni, sconfitta nella tornata precedente da Obama con cui poi è stata fianco a fianco, si presenta come democratica moderata, forse troppo moderata. Non ha posizioni prettamente sue, se non rincorrere Sanders quando il socialista la taccheggia facendole perdere la certezza di vincere. Chiama il suo avversario “impresentabile” e non lo batte lei, ma vince di rendita, in quanto, il socialista, per quanto attraente, non è sufficiente per conquistare tutta la base elettorale del partito. Vittoria di rendita di un candidato amorfo che ha dalla sua solo l’esperienza ma nessuna novità di contenuti ma solo di forma: quella di poter essere la prima presidente donna.

Bernie Sanders: ebreo, figlio di sopravvissuti all’olocausto, socialista, parlamentare democratico indipendente, parla contro i poteri forti. Si direbbe una storia giovanile da sessantottino, sempre attivista, parla molto di redistribuzione, contro i ricchi, per i poveri, per un salario minimo più alto. Conquista i giovani, i meno abbienti, gli studenti, e tutti coloro che volevano un candidato democratico forte. Perde perchè, come già detto, non esistono elettori a sufficienza negli USA che lo adorano, l’elettore democratico della middle-class americana della parola “socialismo” non ne è terrorizzato ma comunque diffidente. Da aggiungere anche che la sua scalata è data dall’assenza di un candidato democratico più strutturato della Clinton in termini di identità. Lui era il candidato di una parte ristretta di elettori.

Passiamo ora ai repubblicani, il cui vincitore è Donald Trump.

Jep Bush: fratello di George W., gli americani, con il senno del poi, non vogliono altri Bush al governo, alla casa bianca, dato il fallimento della campagna in Iraq e Afghanistan. Fuori subito.

Marco Rubio: lo chiamavano “l’Obama repubblicano”, giovane, brillante, di bella presenza, di umili orgini cubane che aveva scelto il sogno americano. E’ lui il candidato contro gli estremisti conservatori come Bush e Cruz. Entra in campo Trump e Rubio scompare perchè politicamente inesperto.

Ted Cruz: lui è il repubblicano doc, conservatore estremo, contro l’aborto, il matrimonio gay, vuole una immigrazione di soli cristiani, ma vuole al contempo che ogni stato decida da se, dunque anche repubblicano puro. Lui resiste fino alla fine a Trump, e senza Trump, lui avrebbe vinto. Giovane come Rubio, anche lui di origini cubane, ma più forte, come se fosse un Rubio con carattere e più conservatore. Di confessione battista, praticante, dice che la bibbia deve avere un ruolo fondamentale nella costituzione. Lui è l’uomo anti-Trump. Lui è il candidato repubblicano che l’elettore medio americano avrebbe scelto, in assenza di un supercandidato come Donald Trump.

Donald Trump: imprenditore newyorkese di successo è sempre stato un personaggio mediatico data la sua esuberanza, il suo narcisismo. Difatti, proprio dalla Trump Tower di New York, in giugno 2015 annuncia la sua candidatura alle primarie. Contro l’innalzamento delle tasse, vuole considerare la Cina come un nemico pubblico, non vuole aiuti internazionali, zero controlli sulle armi e detesta l’obamacare. Il suo slogan è “Make America Great Again”. Nel suo slogan c’è la sua vittoria. Non gioca su temi etici o sociali, ma sulla mediocrità dei suoi avversari. Parla di riportare gli USA a quell’epoca splendente degli anni cinquanta, del resto è figlio di un grande imprenditore, dunque lui identifica l’immagine del “Hard work”, sempre accompagnato da moglie e figlia, dunque famiglia, contro l’ISIS, per Israele. Comunicativamente le spara grosse per prendersi i gli elettori nazionalisti, quelli che in uno come Cruz o Rubio non ci trovano nulla di affascinante. Non riesce a prendersi i moderati, che lo considerano un po’ estremo, ma del resto, una volta che ha vinto, dovranno votare per lui se non vorranno votare per una democratica. Sbaraglia tutti, eccessivo, spavaldo, vola con il suo aereo privato, l’uomo americano che ce l’ha fatta da solo, vuole che l’america torni grande e prospera come una volta. Per molti versi assomiglia al primo Silvio Berlusconi. Fuori dall’establishment politico, quindi nuovo e in gamba. Vien voglia di dargli fiducia e gli americani così hanno fatto. Conto l’immigrazione (il muro con il Messico), sono ottimi anche gli attacchi in odor di presidenziali contro Hillary: “l’unico vantaggio che ha è essere donna”. La sua campagna aggressiva lo ha fatto vincere nel partito, potrà essere vantaggiosa a livello nazionale?

Questo è un breve quadro non esaustivo dei candidati, passiamo alla finale: Clinton-Trump.

I due candidati sono diametralmente opposti per certi versi e di conseguenza in forte conflitto su certi temi mentre per altri già sconfitti dal rispettivo avversario. Analizziamo.

Aspetti etico-morali: Trump è fuori, aggressivo, da una immagine maschilista e di padre padrone, arrogante, il fattore donna di Hillary e la sua moderazione mite qui è più forte delle uscite eccessive dell’imprenditore.

Politica estera: la moderatezza della Clinton risulta debole nei confronti della chiara e pratica azione di Trump: contro l’ISIS in tutto e per tutto, contro l’immigrazione che porta criminalità e droga, per Israele.

Politica interna: qui la Clinton ora dovrebbe tirare fuori qualcosa che tende a sinistra, in quanto sui temi sociali non si è espressa molto se non inseguendo Sanders sui temi che funzionavano.

In fin dei conti, Trump mostra una forte idendità che vuole trasmettere all’america intera: tornare grandi, tornare i veri padroni del mondo, senza sotterfugi à la Obama e senza politiche moderate come Hillary. Contenuti chiari e messaggi forti. Al contempo la sua immagine radicale si scontra con la pacatezza della democratica, che inoltre, essendo donna, potrebbe dar vita alla prima presidenza femminile, una vittoria etica di altissimo livello per gli USA, pero con una forte mancanza di contenuti autentici.

Ora Trump, non amato nell’ambiente repubblicano potrebbe abbassare il tiro e moderarsi, e la Clinton alzarlo ed essere più democratica. A quel punto Trump eviterebbe di essere un mostro e la Clinton una vittima del mostro. Quindi un Trump ragionevole imprenditore di successo e la Clinton scialba donna del potere. Come sarà lo decideranno più che i candidati i loro responsabili della comunicazione, i pretoriani della politica americana. Noi italiani, europei, cittadini del mondo non USA, possiamo solo stare a guardare e sperare che chiunque vincerà non ci porterà di nuovo in guerra, non ci farà subire di nuovo una crisi della finanza mondiale. Per questo Trump sembra meno adatto, anche se Hillary, per ora, non convince.

 

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