LA CASA PER BAMBINI SPECIALI DI MISS PEREGRINE

La vita di Jacob Portman oscilla banalmente tra il senso di inadeguatezza tipico dei sedicenni e l’innata ribellione allo stile di vita dei genitori, proprietari di una grossa catena di supermercati nonché tra le persone più ricche della Florida. L’unica persona a cui Jacob sembra veramente legato è il nonno Abraham, che accanto ai racconti di guerra – è un ebreo fuggito dal nazismo – intrattiene il nipote con storie che vanno dall’assurdo al fantascientifico, tutte incentrate su un gruppo di orfani bizzarri e sulla loro misteriosa tutrice, Miss Peregrine. Esattamente come il figlio di Bloom in Big Fish, anche Jacob passa dall’entusiasmo per le storie del nonno allo scetticismo più totale, almeno fino al giorno in cui la morte di Abraham, avvenuta in circostanze misteriose e sospette, non porterà il giovane a scavare nel suo passato in cerca di risposte.

La casa per bambini speciali di Miss Peregrine (abbreviato Bambini Speciali per pigrizia) è il primo tassello di quella che (attualmente) è una trilogia ideata da Ransom Riggs. Il titolo è di quelli che vanno dritti al punto senza troppi giri di parole: c’è una casa – un orfanotrofio, a essere precisi – in cui trascorrono le giornate dei bambini dotati di poteri di ogni sorta, gli stessi di cui il nonno parlava nelle sue storie improbabili, accuditi dall’enigmatica Miss Peregrine. Le cose iniziano a complicarsi quando Jacob, giunto nell’isoletta sperduta in cui si dovrebbe trovare l’orfanotrofio, trova ad aspettarlo solo una serie di ruderi, salvo poi scoprire che per andare a fondo della questione e incontrare Miss Peregrine dovrà attraversare un varco temporale. O, per meglio dire, un anello di tempo congelato. Qualunque cosa voglia dire – scoprirlo è una delle attrattive principali del romanzo – il concetto è tanto complesso quanto sapientemente sfruttato, e chiunque vada in brodo di giuggiole al solo accenno di cicli o paradossi temporali troverà in Miss Peregrine pane per i propri denti.

Sulla carta un fantasy dalle tinte velatamente dark – la morte è trattata con il giusto peso, senza addolcimenti per renderla più digeribile – Bambini Speciali è sostanzialmente un romanzo di formazione. Siamo, è vero, dalle parti di Harry Potter, che a sua volta si rifà alla struttura classica del genere per cui un/a ragazzo/a, solitamente un adolescente “problematico” e tormentato, improvvisamente si ritrova a essere l’unico capace di riportare l’ordine in un mondo magico e alternativo. La differenza è che, laddove la Rowling ha scelto di slegare la sua Hogwarts dal mondo dei “babbani”, in Bambini Speciali i riferimenti alla Storia con la S maiuscola sono forti e pregnanti. Qui gli orrori perpetrati dai nazisti si fondono agli orrori dei Vacui, frutto distorto di un esperimento mal riuscito e votati al compito di trovare e sterminare chiunque sia dotato di poteri speciali. Il parallelo tra nazisti e vacui, tra orrore vero e orrore immaginato, è efficace, e potrà convincere anche i più accaniti sostenitori del realismo in letteratura che il fantasy, se fatto bene, lungi dall’essere un mero divertissement può essere una chiave di lettura alternativa per interpretare la realtà circostante.


 

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