Mister Chocolat: una storia contemporanea

Nel 1820, quando il resto dell’Impero spagnolo in America Latina si ribellò e si formarono degli stati indipendenti, Cuba rimase fedele. Così non stupisce che nel lontano 1865/68 Rafael Padilla, nacque e continuò a crescere in una famiglia di schiavi, così come molti altri bambini nell’isola.

Un bambino come tanti, dunque, che ha vissuto nella povertà per anni, assistendo a soprusi e umiliazione. Finché all’età di dieci anni, Rafael rimase solo. I genitori scapparono da Cuba, lasciandolo nelle mani di un’anziana signora, in un quartiere povero di Havana. La miseria è tanta, che la donna non esitò a venderlo ad un commerciante spagnolo, come aiutante nella fattoria della madre, vicino Bilbao.

Ma la città basca ed i suoi abitanti non si mostrano più gentili, e la vita non diventa di certo più facile. Subito dopo il suo arrivo gli allevatori del luogo, provarono a “sbiancarlo” con una spazzola per cavalli. Passarono poco più di tre anni da quell’esperienza e dalla fuga. A 14 anni Rafael era da solo, in una città lontana da casa, e nessuna prospettiva, se non la necessità di sopravvivere. Inizia così a cercare lavoro, passando da uno all’altro, dal cantante di strada al facchino.

Fin qui la storia di Rafael non ha niente di speciale, era una situazione normale, che non destava scalpore ne interesse. E se anche basterebbe questo a raccontarla, giusto per dimostrare quanto la normalità potesse essere terribile, la storia di Rafael, è emblematica e speciale perché, di li ha poco, sarebbe arrivata la svolta.

Questo cambio di rotta nella vita dell’ormai adolescente Rafael, aveva tutto a che fare con i pagliacci. Per questo devo addentrarmi in una piccolissima digressione. Figure base del circo, tanto da esserne praticamente un emblema, i pagliacci, nella tradizione circense occidentale si possono identificare con due figure: il Bianco e l’Augusto. L’effetto comico di una rappresentazione con pagliacci è generato dal contrasto di queste due figure: L’uno (il bianco) è autoritario, severo, preciso, in grado di fare (il suo costume tradizionale lo vuole vestito di bianco e col cappello a punta); mentre l’altro (l’Augusto) è incapace, pasticcione e stralunato (abiti fuori misura e scarpe giganti).

Così, un giorno, mentre il ragazzo si esibiva come era solito fare, nel porto di Bilbao, fu scoperto dal famoso Augusto Tony Grice, che rimase impressionato sia dalla sua potenza fisica che dalla sua abilità nel ballo. Quel giorno, Rafael divenne il suo servitore ed aiutante, oltre che il suo partner in numerosi numeri comici, in cui si sarebbe esibito come stuntman. Il nuovo duo così formato, raggiunse una discreta notorietà, quando nell’ottobre del 1886, cominciò ad esibirsi nel New Circus di Joseph Oller a Parigi. E’ in questo momento che Grice da a Rafael, il nome d’arte Chocolat, che gli rimarrà per molti anni a venire, e con cui viene ricordato ancora oggi.

Nel 1888, la loro partnership giunse alla fine, quando Henri Agoust, il manager del New Circus assunse Chocolat come stella di una pantomima nautica, in quanto vedeva in lui una potenziale star come ballerino e mimo. Intuizione che si rivelò corretta già dopo il primo show, “Il Matrimonio di Chocolat”, che si rivelò un enorme successo. Lo show crebbe nel corso dei successivi cinque anni, grazie anche alle performance in coppia con clow famosi come Pierantoni, Kestern e Geronimo Medrano.

Durante questi anni così importanti per la sua carriera e la sua notorietà, in una città come Parigi, Rafael incontrò l’amore della sua vita, Marie Hecquet. Sposata con due bambini, Marie divorziò dal marito nel 1895 per iniziare una nuova vita con Rafael, che crebbe i figli di lei, Eugene e Suzanne come fossero i propri. Ben presto divennero una famiglia di performer del Circo.

Ma il vero successo arrivò proprio nel 1895, quando Raoul Donval, direttore del New Circus, formò una nuova coppia, unendo il fenomenale Chocolat con il clown inglese, George Footit, un Bianco autoritario, quest’ultimo e un Augusto nero sgobbone, Chocolat. I due si esibirono insieme per 20 anni, portando ad una notorietà mai conosciuta prima, loro stessi, ma anche la commedia clownesca, soprattutto con lo sketch parodico William Tell.

L'”innocente” ma forzato razzismo, del personaggio di Footit, non preveniva, però le risate del pubblico, ne la loro ammirazione per gli eccessi e l’agilità atletica di Chocolat. La loro commedia, infatti, faceva un grande affidamento sugli “schiaffi comici”, facendo di Chocolat un personaggio consistente con l’immaginario e i pregiudizi del tempo, un personaggio che divenne gradualmente uno stereotipo del “capro espiatorio Negro”: sciocco, infantile e amichevole.

Chocolat, o meglio Rafael Padilla, cominciò a combattere questo stereotipo diversificando costantemente le sue abilità, tanto che ad una più attenta osservazione delle scenette, si vedeva come il suo personaggio non si limitasse più ai ruoli del sottomesso. Scene che rimangono immortalate per sempre nei film, fin dai suoi albori.

Foottit e Chocolat, infatti, sono i protagonisti dell’omonima serie dei fratelli Auguste e Louis Lumière, che comprende sei numeri: Boxeurs, Acrobates sur la chaise, Chaise en bascule, Guillaume Tell, Le policeman e La mort de Chocolat. Oggi, però, un secolo dopo questi eventi, Chocolat torna protagonista del grande schermo, con un film biografico che vede Omar Sy (conosciuto per il suo ruolo in Quasi amici – Intouchables), nei panni del famoso clown. Diretto da Roschdy Zem, Mister Chocolat, è una pellicola interessante che racconta, romanzando, la battaglia di Rafael, contro il razzismo e la stereotipizzazione del suo personaggio, ed il suo rapporto a volte conflittuale con il partner di una vita, Footit (James Thierrée).
Non abbiate paura, dunque, di addentrarvi nel mondo del Circo e in una Parigi di fine secolo, che mai aveva pensato di avere fra le sue star più fulgide, un clown nero di origini cubane.


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