La magia delle parole: Alessandro D’Avenia si racconta

È già la seconda volta che ho modo di incontrare Alessandro D’Avenia, scrittore palermitano di successo e insegnante di latino e greco a Milano. In una sala gremita di gente, prende la parola lo scrittore per parlarci di sé e del suo ultimo libro Ciò che inferno non è, uscito per Mondadori nel 2014 che in molti in sala hanno già letto.

«Si scrivono libri», dice D’Avenia, «perché ad un certo punto della vita si sente il bisogno di dover condividere una storia con gli altri». E lui di storie ne ha da raccontare tante! Ogni storia si porta dentro un’eco di cose avvenute, conosciute e che non vanno egoisticamente tenute per sé ma vanno condivise, perché gli altri possano ricordarsene sempre. Gli eventi passano, ma le storie rimangono.

 

E ogni volta che ci tuffiamo in un libro, ritroviamo noi stessi, riviviamo certi momenti, episodi o situazioni. Ecco il motivo per cui D’Avenia decide di scrivere Ciò che inferno non è, perché nessuno possa mai dimenticare chi sia stato Don Pino Puglisi, perché la sua storia, la sua forza e il suo coraggio contro la lotta alla mafia possano diventare un esempio da emulare e da seguire.

Alessandro D’Avenia ha conosciuto Don Pino Puglisi, lo aveva incrociato tante volte nei corridoi del suo liceo a Palermo, se lo ricorda bene. «Don Pino stava sempre in corridoio» perché così poteva entrare a contatto con il cuore pulsante della scuola, camminava per incrociare lo sguardo dei ragazzi e sorrideva a ognuno. Sorridere alla vita di qualcuno è il dono più profondo che un uomo possa regalare a un altro uomo. «Il sorriso non è che un inchino che dice all’altro: che bello che tu sia al mondo!».

Con queste splendide parole, D’Avenia spinge il suo discorso sulle possibilità offerte all’uomo di fronte alla vita e alle persone. Quando qualcuno posa lo sguardo sulla tua vita, ti fa sentire unico. In fondo cos’è l’amore se non qualcuno che posa il suo sguardo, tra tutti, proprio su di noi?  In una sua poesia, Pedro Salinas afferma: «Quando tu mi hai scelto – fu l’amore che scelse – sono emerso dal grande anonimato di tutti, del nulla». L’innamoramento è un’esperienza che ci eleva perché la persona che posa il suo sguardo su di noi, vuole dirci che andiamo bene così e che ci “perdona” per quel che siamo. E noi in questo troviamo la felicità, perché scopriamo che i nostri difetti e la nostra inadeguatezza, che per noi sono da sempre un limite, diventano invece la ragione che ci rende unici agli occhi dell’altro. Lo sguardo ha, dunque, un potere trasformante. Ci rende migliori pur nella fatica che questa trasformazione comporta. Ma è una fatica che si accetta volentieri, perché l’altro mi ha accettato nella mia inadeguatezza.

«Don Pino era un innamorato dei ragazzi, dei bambini di Brancaccio», dice D’Avenia, e più in generale della vita dell’uomo. Quando è stato chiesto ai sicari di Don Pino perché i boss avessero deciso di uccidere quel parroco, riposero: «Perché si portava i picirriddi cu iddu». Don Pino li portava a loro stessi, li toglieva dalla strada, li portava ad accettare se stessi come dono, condizione necessaria per accettare l’altro. È grazie a Don Pino se oggi tantissimi ragazzi hanno dato un volto nuovo a Brancaccio, anche se, dice D’Avenia, «la zizzania e il grano sono destinati a convivere». E versando il suo sangue, Don Pino aveva permesso che il grano potesse crescere in nuovi campi.

E con la magia delle sue parole D’Avenia lancia un messaggio di speranza per il futuro della Sicilia.

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