Il Teatro Ringhiera apre una porta verso le donne islamiche

Il Teatro Ringhiera di Milano apre le porte al dialogo tra Medio Oriente e Occidente con la messa in scena di “Alla mia età mi nascondo ancora per fumare“. Rayhana è l’autrice algerina, sotto pseudonimo, che proprio a causa di questa drammaturgia ora vive sotto scorta a Parigi. La regia è di Serena Sinigaglia e il cast è formato da alcune attrici fisse nella compagnia ATIR del Teatro Ringhiera, rinforzato da altre professioniste: Anna Coppola, Matilde Facheris, Mariangela Granelli, Annagaia Marchioro,  Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Marcela Serli e Chiara Stoppa.

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Lo spettacolo introduce il pubblico nell’area femminile di un hammam di Algeri, scenograficamente composto da mucchi di teli bianchi con al centro una vasca piena d’acqua e si svolge nell’arco di una sola giornata. Il titolo viene pronunciato dalla capo massaggiatrice nella prima scena, la quale, dopo essersi sciacquata le nudità con una strana violenza repressa, si accende una sigaretta, finalmente al sicuro da sguardi minacciosi di volti barbuti. Questi primi gesti raccontano un concetto che ritornerà per l’intero spettacolo: l’hammam come punto di sfogo per le donne algerine, dove possono essere finalmente nude e libere dalle costrizioni della società in cui vivono. L’oppressione e la religione, per la prima parte dello spettacolo, sono relegate all’esterno, interpretate dalle protagoniste velate, inginocchiate davanti a leggii che sorreggono il Corano, impugnandolo e battendolo con energia quando all’interno dell’hammam avvengono cose che dovrebbero essere severamente proibite e punite.

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Simbolico è l’ingresso di una ragazza incinta sulla soglia del parto, ingravidata e abbandonata dall’amante e per questa ragione ritenuta impura dalla propria famiglia, soprattutto dal fratello che la minaccia di morte. L’unico rifugio che lei si figura è l’hammam e la capo massaggiatrice, non avendo il coraggio di cacciarla, la nasconde lì per tutto il giorno, all’insaputa delle colleghe e delle clienti. Tutto lo spettacolo ruota intorno a quest’episodio, che farà schierare da una parte e dall’altra le donne in scena, che ne parlano come di un pettegolezzo di quartiere, fino a quando la ragazza non si rivelerà perchè in procinto di partorire.

La capo massaggiatrice chiede allora aiuto alle altre e proprio in quel momento alla porta dell‘hammam si raggruppa una folla di uomini musulmani arrabbiati, che rivendicano la morte dell’adultera. Le donne decidono di fare resistenza e aiutare il bambino a venire al mondo. La sorellanza è rotta quando il bimbo viene alla luce e la fondamentalista islamica tradisce le altre per non tradire la propria fede. I leggii con il corano che erano entrati nell’hammam proprio grazie a lei e al suo racconto del’episodio tragico che l’aveva portata ad avvicinarsi ad Allah, trionfano infine sulle speranze delle donne di un futuro di emancipazione.

Il testo, ricco di contenuti tragici, è puntellato da un’ironia che al pubblico occidentale può sembrare sopra le righe e dissonante, ma che è intrinseco nei comportamenti delle donne oppresse di cui parla lo spettacolo. La prova le attrici occidentali la hanno avuta dopo aver incontrato alcune donne musulmane alla Casa delle Donne e alla Casa della Cultura, per farsi raccontare le loro realtà. Le donne si immedesimavano nei personaggi dello spettacolo, confermavano l’esistenza di quest’ironia che salta fuori in luoghi protetti come l’hammam, per contrastare la situazione di prigionia intellettuale e fisica che vivono. Lo spettacolo non è mai stato portato fuori dal contesto europeo, dove gli episodi narrati vengono percepiti come storie lontane e quasi fantastiche. Che effetto farebbe però inscenarlo proprio ad Algeri?

 

 

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