“SCIENZA TRISTE”… E ARROSTO

È ormai conclamato come l’economia sia un qualcosa da trattare con le pinze e da relegare a oscuri scienziati e matematici in polverose biblioteche universitarie impegnati nei loro calcoli e nei loro: “ammettiamo”, “supponiamo che”, “nel caso che”. D’altra parte non possiamo lamentarci, l’economia è passata alla storia per la definizione di Thomas Cralyle come scienza triste, pur non essendo una scienza esatta come la fisica o la matematica. Le previsioni e gli assiomi degli economisti, infatti, assomigliano più agli oracoli della Sibilla Cumana che a verità assolute basate su prove fattual .

Prima dello scoppio della crisi dei subprime tutti, media ed economisti in testa, erano intenti nel celebrare la solidità del sistema creditizio americano (guardate il film La grande scommessa per rendervene conto da vicino) e la capacità del “sistema” nel suo complesso di generare ricchezza. Naturalmente il teatrino è durato fino a quando quelle che erano solo voci di alcuni, ovviamente screditati e isolati perché troppo “tristi”, non si trasformarono in realtà. Ma ormai era tardi per porre rimedio: l’esplosione della bolla dei subprime aveva già messo in mezzo a una strada migliaia di persone e portato al pignoramento di circa 3 milioni di case nel solo 2008.

Per restare in Europa basti pensare al fenomeno austerity per renderci conto di quanto sia noiosa e triste l’economia. Questo termine, che leghiamo erroneamente a un periodo storico e a una figura politica, venne usato per la prima volta tra il 1973/74 per indicare il taglio drastico, deciso da alcuni governi compreso quello italiano, ai consumi energetici in seguito alla crisi petrolifera del 1973. Più recentemente questo termine è stato adottato per indicare la necessità di applicare tagli alla spesa pubblica nel nome del pareggio di bilancio e del famoso 3% del rapporto debito/PIL stabilito a Maastricht. Che il pareggio di bilancio in tempi di crisi sia un assioma neoclassico è evidente a tutti quelli che hanno anche solo respirato in una facoltà di economia o che si sono interessati a questa materia. Tuttavia, tagliare le spese del settore pubblico, in un momento in cui il settore del privato o non ha soldi (essendo fallito) o non vuole investire (troppe tasse applicate dai sostenitori, guarda caso, proprio dell’austerity stessa) e pretendere che l’economia riparta in quinta per la spesa dei consumatori (tartassati però da tasse e terrorismo mediatico): sembra quasi un intestardirsi nel cercar di fare… un arrosto senza arrosto. Ovviamente sono moltissimi i personaggi del mondo politico, culturale e accademico che si sono immolati alla causa dell’austerity affermando come questa sia giusta e che la “spesa pubblica improduttiva” sia un retaggio di un passato gaudente e spendaccione. Bisogna dunque affermare i sani e moralmente giusti valori del pareggio di bilancio, pena la dannazione eterna.

Da un qualche anno a questa parte, tuttavia, qualcuno si è svegliato e ha notato come, dopo circa sette anni di austerity, le cose non vadano tanto meglio. Di questo parere è il leader laburista inglese Jeremy Corbyn che chiede un’unione dei partiti anti-austerity al Parlamento Europeo, ma anche il governo di Antonio Costa in Portogallo si sta ribellando ai dictat europei proprio negli stessi giorni in cui il think-tank Bruegel ha lanciato una proposta concreta per rivedere il Fiscal Compact dal momento che si è rivelato “inefficiente”.

In Italia? Nel Bel Paese la faccenda è sotto gli occhi di tutti, dal momento che l’evidente fallimento dell’austerity ha creato parecchi danni, portando al fallimento numerose aziende e riducendo sul lastrico (tartassati dalle tasse) i consumatori. Se queste persone e aziende hanno poi un mutuo presso la propria banca locale ecco che spuntano i 200 miliardi di NPL e le tanto famose sofferenze, vere valchirie del bail-in e causa di dolore per azionisti e risparmiatori. Tuttavia sono molti i politici e gli economisti che acclamano ed eleggono a un ruolo salvifico la manovra dell’austerity, applaudendone i risultati e sminuendone i “problemucci”.

Nelle famose biblioteche polverose si dice che se un economista fa una previsione, due sono i possibili risultati. O si sbaglia, e allora viene radiato con disonore dall’albo delle persone rispettabili, o ha ragione. In questo ultimo caso, vince il Nobel, sempre secondo la dinamica per cui, se si sente odor d’arrosto, è probabile che l’arrosto sia in tavola. Dunque… buon appetito!

Images: copertina

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