Il riso anti-Alzheimer: bufala, promessa o realtà?

Una delle cose più difficili e noiose per il paziente, quando un farmaco da assumere tutti i giorni viene prescritto dal suo medico, è spesso ricordarsi di prenderlo con regolarità, anche quando si trova in vacanza o fuori casa. Spesso, specialmente se si è in compagnia, l’idea di farsi vedere a ingoiare una pastiglia può mettere in imbarazzo tanto da influire sulla compliance (adesione ai trattamenti prescritti) e quindi sulla salute del paziente stesso.

Per questo motivo i medicinali più commerciali, come gli sciroppi per la tosse, contengono anche sostanze con il solo scopo di renderne il sapore più piacevole. Anche le aziende farmaceutiche infatti sono aziende e hanno fra i loro scopi quello di aumentare le proprie vendite.

Se la soluzione a un problema medico fosse mangiare in maggiore quantità un cibo già amato dal paziente certo tutto sembrerebbe più semplice.

Questa idea è venuta in mente anche in sostituzione di farmaci ancora in fasi sperimentali piuttosto agli inizi. In Giappone, dove il riso è un alimento essenziale nella dieta, si è perciò pensato di utilizzare le biotecnologie alla base dei tanto contestati OGM (organismi geneticamente modificati) per inserire nel genoma di una varietà di questo cereale un gene che permetta la produzione di β-amiloide.

Il β-amiloide è una molecola il cui accumulo a livello cerebrale sembra essere alla base della malattia di Alzheimer. Alcune teorie recenti, in via di verifica al momento solo su modelli animali, sostengono che un’assunzione di questa sostanza a piccole dosi prima dell’insorgenza della malattia, in particolare nelle persone che risultano avere una predisposizione genetica a questo morbo, possa avere l’effetto di una sorta di vaccino, “educando” il sistema immunitario a smaltirlo nel momento in cui si depositerà in futuro.

Dato come nutrimento, bollito o non bollito, per ora solo a topi di laboratorio, il “riso anti-Alzheimer” sembra essere al momento un buon integratore alimentare di β-amiloide, seppure ancora non sia del tutto chiaro quanto questo possa essere salutare in futuro. L’articolo scientifico che ne parla è per ora già disponibile a tutti gratuitamente, cosa abbastanza rara per le riviste scientifiche più importanti. Questo fatto potrebbe implicare il fatto che gli stessi autori abbiano dovuto versare una somma per la pubblicazione. Se ne vedranno dei buoni risultati? Se questo tipo di ricerca desse in un prossimo futuro i suoi frutti, a chi sarebbe in mano la commercializzazione di questo cereale “miracoloso”? La domanda sarebbe sicuramente molto elevata, dato che, già non modificato, il riso rientra nella categoria degli staple food, ossia cibi diffusi nella dieta di routine di molte popolazioni.


Fonti

NCBI

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