I giovani e la crisi d’identità: Pirandello, Freud e il fenomeno del selfie

In seguito alla seconda guerra mondiale, specialmente negli anni successivi al grande conflitto, il mondo, investito da una grande modernizzazione, costringeva gli uomini a sentirsi inadeguati in confronto alla modernità. Questo atteggiamento aveva, come conseguenza, l’utilizzo, da parte degli uomini, di una vera e propria maschera per adattarsi alla nuova società.

L’idea di uomo come personaggio, e non come persona, è protagonista della poetica pirandelliana. I personaggi di Luigi Pirandello si nascondono dietro una maschera per combattere le condizioni della società, l’uomo ha bisogno di autoinganni: deve cioè credere che la vita abbia un senso e perciò organizza l’esistenza secondo convenzioni che devono rafforzare in lui tale illusione.

Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona integra, ma si riduce a una maschera che recita la parte che la società esige da lui e che egli stesso si impone attraverso i propri ideali morali. Come scrive lo stesso Pirandello:

Tutti gli uomini sono maschere o personaggi perché tutti recitano una parte.


La persona cambia sempre, l’identità è volatile, momentanea ed è possibile moltiplicarla all’infinito; ogni sforzo per mettere ordine alla propria esistenza è vano e inutile. Per Pirandello tutti gli uomini non sono più persone ma personaggi all’interno della commedia sociale; ogni uomo porta di necessità una maschera o recita il ruolo che la società o le convenzioni o i propri ideali astratti gli impongono.

Essendo l’esistenza normale “forma” che blocca e paralizza la vita, le persone si sono trasformate in personaggi costretti a recitare uno specifico ruolo sociale. Secondo Sigmund Freud, neurologo e psicoanalista austriaco, la coscienza morale individuale si palesa come il risultato di una serie di regole imposte dal di fuori e non ha quindi a che fare con leggi naturali e norme assolute, ma con precisi condizionamenti dell’ambiente esterno, ai quali l’Io si adatta. La società influenza la creazione dell’identità individuale, i giovani confermando la teoria di Freud, sono delle “spugne” che cambiano il loro atteggiamento in base a precisi condizionamenti del mondo esterno. La società di oggi è estremamente varia e mancano riferimenti stabili: ci si muove di più, ci sono molte più possibilità di scelta in ogni campo della propria esistenza, si entra a contatto con molta più gente tramite i social network.

Proprio grazie alle numerose nuove piattaforme sociali multimediali, è nato tra i giovani il fenomeno dei selfie, autoscatti grazie ai quali si condivide con l’altro il ruolo o la posizione del proprio Io all’interno della società.
Il selfie nasce dall’esigenza del proprio Io, in modo particolare nei giovani, di condividere con il mondo esterno ogni attimo della propria vita, o come riprova sociale, o per cercare un rapporto diretto con un’altra persona (Connection addiction). L’immagine del proprio “io” che trasmetto, che condivido, non è però quella reale ma è il nostro ideale che vogliamo trasmettere alle persone che ci circondano.
Insomma, ci mostriamo come non siamo, o meglio, ci mostriamo nella maniera in cui vorremmo essere visti dagli altri. Quindi, possiamo dire che fingiamo?


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