Etica o economia?

Oggi quando economia ed etica si incontrano nasce spesso una battaglia in cui le due materie si scontrano e si sfidano misurando l’affilatezza delle proprie armi argomentative nonché la robustezza dei fatti su cui posano le radici. Risulta impossibile, infatti, non chiamare in causa l’etica quando si affrontano temi economici, così come è difficile non includere l’economia nell’etica.

Questa compenetrazione delle due materie nasce dal fatto che entrambe queste discipline provengono da un ceppo unico che le vedeva unite e assolutamente compenetranti. Non a caso il fondatore della scienza dell’economia, Adam Smith (1723-1790), scrisse un trattato sulla Teoria dei sentimenti morali e impartì lezioni di logica e filosofia all’università di Glasgow. Tutta la tradizione culturale precedente, inoltre, vedeva l’economia come parte di un complesso più ampio di discipline che finivano per influenzarsi a vicenda creando un insieme di conoscenze che spaziavano dall’astrologia all’etica stessa fino a includere la religione che in molti casi, come per l’usura, limitava la libertà economica costringendola a perseguire fini sempre diversi.

Oggi, di fronte ai drammi dello sfruttamento del lavoro, dell’uomo e dell’ambiente, si chiede a gran voce al mercato globale di rispondere con logiche etiche al proprio agire a-morale e a-politico e di ristabilire un legame con anche altre discipline, non badi esclusivamente alla logica del profitto, dell’efficienza e della produttività. Sono infatti molti gli esempi che testimoniano come il mercato e l’economia abbiano piegato ogni considerazione etica e morale alle proprie logiche di profitto come, ad esempio, le catene di abbigliamento a bassissimo costo: se da una parte vedono una maggiore libertà del consumatore finale nella scelta del proprio guardaroba, dall’altra portano nei supermarket moderni la testimonianza della povertà e della tragicità della situazione presente all’altro capo della filiera produttiva.

Anche l’accesa campagna sull’utero in affitto, alias «maternità surrogata», può essere ricondotta a un confronto tra mercato e morale dal momento che, all’affermazione di un preteso diritto di paternità/maternità, si contrappongono dei costi e l’istituzionalizzazione di un vero e proprio mercato di uteri.

Purtroppo si potrebbero citare decine di altri esempi, tutti accomunati dalla visione che nulla si deve frapporre tra l’dea di libertà individuale e la sua effettiva realizzazione. È proprio infatti questo il concetto alla base della moderna visione economica: la libertà. Questa parola, abusata e usata ingiustamente, deve il proprio uso in economia fin da Smith (e anche da prima se si guarda a Bernard de Mandeville) per cui era il presupposto necessario al pieno dispiegarsi dei propri interessi da dove sarebbe necessariamente dovuto scaturire il benessere collettivo. La libertà viene così inserita in una visione quasi provvidenziale dell’economia che vede nel perseguimento del particolare egoismo il principio che muove l’economia verso il bene comune.

Oggi, teorie come quella dell’equilibrio economico generale o delle “aspettative razionali” sostengono come la morale sia ormai un fattore limitante a un’economia i cui singoli attori sono capaci di muoversi per il bene comune poiché liberi di  perseguire i propri particolari interessi, opponendo, in ultimo, all’etica un sapere sempre più autoreferenziale, ingegneristico fatto di tecnicismi e astrazioni eletto a propria armatura teorica contro qualunque attacco esterno.

La libertà viene però così ridotta a strumento, presupposto ad atti non liberi e di sfruttamento entrando in una contraddizione in termini che vede la propria soluzione solo in un recupero di quella morale che trascende i limiti imposti dall’economia per recuperare una visione di insieme che miri a rivalutare l’uomo non in quanto homo oeconomicus ma in quanto essere umano.


Fonti

Wikipedia

Crediti

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