Umberto Eco

Lettera a un intellettuale che non ho mai conosciuto

Di Roberta Giuili

Sei mesi fa, nel pieno di una crisi esistenziale, ho pensato di scrivere a Umberto Eco.

Devo fare una premessa, dovevo iniziare l’università e avevo paura di scegliere la laurea in lettere, perchè si sa, ormai, tutti pensano che fare lettere sia “leggere libri e essere disoccupati”. Come spiegare che io non vorrei fare la scrittrice, la giornalista, la critica di letteratura, l’editrice, o meglio non solo, ma da grande vorrei fare l’intellettuale? Un’ambizione assurda al giorno d’oggi, difficile da realizzare e impossibile da esprimere. Allora ho pensato di scrivere a colui che ritengo fosse uno degli ultimi intellettuali.

Cosa intendo per intellettuale? Non intendo alludere a un qualcuno di intellettualmente più elevato, con intuizioni geniali e per questo da distinguere dalla comunità; con il termine intellettuale individuo quella figura umana che allo stesso tempo fa parte della comunità, partecipa della comunità e se ne fa guida. Eco non era solo un grande scrittore, un grande saggista, un grande uomo, ma era un intellettuale nel più profondo termine della parola: era uno di coloro che rappresentano le nostre vere guide, ancora più degli uomini politici. Non solo abbiamo perso un pezzo di terra, citando John Donne, ma ci è stato tolto un uomo i cui discorsi, fatti, parole, idee hanno raggiunto gli italiani.

Al giorno d’oggi il ruolo d’intellettuale è un ruolo faticoso e spesso senza gratificazione come d’altronde quello dei maestri e dei professori, e la stessa penuria di intellettuali è simbolo di una tristezza culturale. I nostri leaders ora sono gli uomini imbevuti di populismo, che hanno ereditato dai partiti di massa del primo novecento tutte le tecniche e i sotterfugi retorici e pratici, e ci dimentichiamo troppo spesso di quelli che dovrebbero essere i leaders di una nazione, ci dimentichiamo degli intellettuali. Eco è stato il risultato di una cronologia dell’intellettuale piuttosto movimentata e discontinua, dalla cosiddetta nascita del nuovo intellettuale con Petrarca, l’intellettuale umanista e poi cortigiano con Ariosto, fino ai primi distacchi dal potere con Tasso e l’affermazione di una propria identità al di fuori dell’auctoritas aristotelica con Galilei. E qui forse potremmo vedere una certa somiglianza nello stacco, nello spartiacque creato da Galilei e portato a termine da Pasolini nell’epoca moderna: l’affermazione delle proprie idee. Prima di Pasolini infatti gli intellettuali come tali stavano sbiadendo, divenendo tipicamente poeti, pittori, dandy sprezzanti, ermetici, fascisti o antifascisti. 

Volevo conoscere Eco, ero convinta l’avrei conosciuto, convinta che un giorno avrei potuto stringerli la mano e chiedergli forza e conforto e consigli. E forse non è facile da capire perchè sembra stupido, ma per me la sua scomparsa è stata tremendamente triste. Sono triste perchè so che non voleranno più in giro le sue nuove idee, nonostante ce ne abbia lasciate molte, sono triste perchè abbiamo perso una guida e un maestro, sono triste perchè non posso conoscerlo. Era un punto fermo l’idea di una figura pilastro così distinta eppure così vicina da convincermi che un giorno avrei stretto la sua mano. Sei mesi fa non gli ho scritto, pensando che avrei avuto tempo di parlare con lui, magari solo di sfuggita, magari poi come collega.

Gli avrei potuto chiedere come si fa a rimanere integri e forti in una società come la nostra, come si fa a non perdere la speranza nell’insegnare, e a scrivere un libro come il nome della rosa, saggio, romanzo, giallo, tutto insieme.

Come si fa a essere un intellettuale.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.