Leopardi era veramente depresso?

di Roberta Giuili

Sfatiamo questo mito del povero poeta depresso, gobbetto, innamorato (e non ricambiato) di Silvia. O meglio, gobbetto probabilmente lo era, come diventeremo tutti noi studiosi a forza di stare sui libri. Ma Leopardi non era depresso.

Leopardi era consapevole, nell’accezione più dura e pregnante del termine: un lucido osservatore e interprete del mondo.

La critica semplificando il suo pensiero lo suddivide in gradi di pessimismo, senza specificare verso seguito da esso: progressivo o regressivo?

Scegliamo tre figure leopardiane, tre “pessimisti”: Silvia – pessimismo storico, Tristano – pessimismo cosmico, la ginestra – pessimismo eroico.

Silvia non è un semplice amore giovanile, è la spensieratezza degli amori giovanili, la fervida capacità di immaginazione di un “vago avvenir” tipica della giovinezza, che perisceSilvia è un simbolo, rappresentazione di un “tempo della vita mortale”, “stato soave, stagion lieta”, come lo definisce nella canzone “Il sabato del villaggio”. E chi di noi non ha vissuto questa stagione lieta, terreno fecondo per amori trasportanti e animati di grandi speranze? Leopardi altro non fa che sospirare sulla sua natura effimera, destinata a finire.

Tristano, anche nel nome, è “malinconico”, sconsolato e disperato, perché pensa che la vita umana sia infelice, e ride del genere umano innamorato della vita giudicando “assai poco virile il voler lasciarsi ingannare e deludere come sciocchi, ed oltre ai mali che si soffrono, essere quasi lo scherno della natura e del destino”. L’uomo seppur “nato a perir”, “dice a goder son fatto e di fetido orgoglio empie le carte”, e solo pochi osano sollevare gli occhi mortali contro il “comun fato” e riconoscere il “male che ci fu dato in sorte”. In un’epoca in cui il positivismo dilagava in tutti i campi, inondava tutte le menti, Tristano non può che essere l’opposizione da bollare come depresso,triste, perchè capace di osservare lucidamente il doppio taglio della lama, di quella lama del progresso che ha portato a estremismi dotati di tecnologia, intrisi di scienza.

La ginestra è “contenta dei deserti”, sa piegare “sotto il fascio mortal non retinente il capo innocente” “non piegato insino allora indarno codardamente supplicando innanzi al futuro oppressor; non eretto con forsennato orgoglio inver le stelle, né sul deserto”: eroicamente e titanicamente non cerca vane consolazioni, non si mostra superba, ma appare nella sua fiera umiltà, nella sua accettazione dell’esistenza in quanto tale. Vive la vita consapevole della sua fine, non si prostra alla natura ma neanche vi si crede superiore, è simbolo di un “carpe diem” profondo, simile al titanismo del saggio stoico, che non si fonda sul vivere il momento ma sul come vivere al meglio, sul reagire e non sulla chiusura, la cecità, la depressione.

Leopardi da una parte analizza il velo superficiale dell’esistente, dall’altra indaga a fondo il cuore dell’esistenza, possiamo dire con una vena pessimistica se consideriamo la sua essenza intrinseca la faccia arcigna della medaglia, con una vena realista se la consideriamo, come Leopardi, l’unica faccia possibile.

Leopardi non era depresso.

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