La questione della lingua: passato o presente?

di Francesca Tricomi

Spesso ci chiediamo se la lingua che parliamo oggi è sempre stata così, con le sue regole grammaticali, con i suoi morfemi, la sua pronuncia e i suoi modi di dire.

In realtà no. O meglio, non si conosceva il punto di arrivo. L’italiano variegato che parliamo oggi non era il punto di arrivo delle riflessioni di Dante o Manzoni, i nostri padri della lingua, bensì è il risultato della somma di regole, pronunce e detti nel corso della storia.

La questione della lingua affligge gli uomini sin dalla loro nascita, sin da Adamo ed Eva, secondo Dante.

Dal punto di vista linguistico si possono fare molte obiezioni, ad esempio si può affermare che ora l’Italia è un paese unito, con una nazionalità, una cultura e una lingua. Ma i dialetti? Questi ultimi venivano ritenuti nell’epoca di Manzoni la parte orale dell’italiano che si differenziava molto dallo scritto che pochi capivano; la lingua orale, quella del popolo, quella di tutti i giorni, era ricca di modi di dire, di detti e proverbi che con il passare dei secoli si sono mantenuti fino ad oggi, lasciando un’impronta profonda nella lingua italiana. I dialetti non possono essere definiti delle vere e proprie lingue, perché non hanno delle regole fisse su cui basarsi. Al contrario la lingua scritta veniva apprezzata e letta solo per quella stretta cerchia che poteva accedere all’istruzione e riusciva a leggere. Oggi si tratta di volere o potere?

Su questo punto socio culturale è importante sottolineare che oggi si sottovalutano molto gli errori che si commettono quando si parla o si scrive. Per noia o per pigrizia scappano fuori dalle labbra errori che potrebbero diventare la regola di domani, come l’imperfetto al posto del congiuntivo, la mancanza o l’abbondanza di apostrofi, la separazione di parole. Possono sembrare piccole sviste, ma cambiano completamente il modo di pensare una comunità di parlanti e di conseguenza quello di parlare e comunicare. Infatti prima dell’atto linguistico avviene un atto del pensiero, secondo il quale il cervello elabora un concetto sulla base delle informazioni che possiede riguardo un argomento specifico e poi lo scandisce attraverso le labbra, i denti, il palato, il fiato. Dalla sequenza di queste emissioni di morfemi, parole, frasi, si possono definire in diversi modi le sillabe: velari, palatali, alveolari, labiali, rotanti.

La storia della lingua italiana risale a Dante che per primo ha posto il problema della separazione linguistica che comprende la diastratia, quindi le differenze sociali, la diamesia, differenza tra scritto e parlato, la diafasia, cioè le varietà della lingua determinata dalla situazione comunicativa, la diacronia e la diatopia, rispettivamente la variazione della lingua nel tempo e nello spazio. Dopo di lui, è stato Bembo a soffermarsi e a fermare le regole della lingua italiana individuando come modelli le tre corone del Trecento, Dante, Petrarca, Boccaccio, perché l’Italia aveva bisogno di almeno un continuum e un’unione linguistica. Successivamente Manzoni si è occupato della questione della lingua, andando alla ricerca dell’idioma per tutti che non facesse differenze tra lo scritto e il parlato, in teoria l’italiano di oggi. Ma vale ancora il principio secondo il quale il nostro idioma attuale non faccia differenze tra lo scritto e il parlato e sia un mezzo d’unione? Molti rispondono positivamente, affermando che i dialetti e le differenze municipali non sono un limite, ma uno stimolo per conoscere realtà diverse e inglobarle in un’unica lingua. Altri, invece, credono che ogni dialetto debba conservarsi così com’è e non deve contaminarsi con gli altri o addirittura con l’italiano.

Nonostante non ci accorgiamo del cambiamento in corso, la nostra lingua si sta modificando lentamente, attraverso neologismi, acquisizioni da altre lingue, espressioni gergale, cambiamenti morfo sintattici e lessicali. Ogni elemento è caratteristico nel portare all’italiano delle modifiche che nel tempo si riveleranno preziose. Ancora una volta sono i modi di dire i protagonisti, perché sono i veri strumenti di una lingua che la distinguono da un’altra: è per questo motivo che ancora oggi ci si cimenta nello studio della lingua italiana.

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