Robotica e Robo-etica

Di Elisa Navarra

Chi non ricorda la scena finale del film Wall-e, gli occhioni languidi del robot dopo esser stato aggiustato da Eve? O il fantomatico Andrew, il robot che voleva diventare mortale in “L’uomo bicentenario”, ritenuto anomalo per la propria umanità? Da sempre protagonisti indiscussi di film d’animazione e fantascienza, con lo sviluppo della tecnologia tuttavia i robot sembrano uscire dal campo di azione dei cameramen. Basti solo pensare che sono più di 1 milione i robot adoperati nelle industrie del pianeta (di cui 350 mila solo in Giappone), solo citando i cosiddetti “robot di vecchia generazione”. Ma la robotica è andata ben oltre. Pepper, il robot umanoide presentato un anno fa al pubblico dalle aziende giapponesi SoftBank Mobile ed Aldebran Robotics, è infatti in grado di riconoscere gli stati d’animo delle persone con cui interagisce;  Romeo (1,43 metri per 40 kg) sale le scale, apre le porte, si prende cura degli anziani. Una sorta cameriera robot tuttofare, come quella in “Io e Caterina” con Alberto Sordi per capirsi. Solamente, reale.

La roboetica

Di fronte alla crescita esponenziale delle capacità di tali macchine, sorgono inevitabilmente nuove questioni. Dove porre il confine tra umano e umanoide? Fino a quando esseri sempre più liberi di pensare e di agire sono da considerarsi solo pure macchine? Questi e altri i punti interrogativi della roboetica, recente scienza che si occupa << delle problematiche legate ai robot e alla loro interazione con l’uomo, gli animali, la società, la natura ed il mondo in generale >>.

Il termine, coniato nel 2002 da Gianmarco Veruggio, si riferisce ad un’etica degli umani, riguardo la programmazione, creazione e diffusione di tecnologie dotate di Intelligenza Artificiale. Etica che a partire dal Primo Simposio Internazionale di Roboetica (presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nel 2004) è stata ed è tutt’ora oggetto di studio di filosofi giuristi e sociologi.

Responsabilità

Definire una linea di confine tra essere umano e macchina potrebbe sembrare banale, ma è di fondamentale importanza qualora ci si trovi a dover fronteggiare questioni di responsabilità. Al riguardo la roboetica distingue tre differenti casistiche.

Considerando i robot mere macchine operatrici, la responsabilità non può che ricadere sul programmatore. Eppure sono stati recentemente programmati androidi in grado di ampliare la loro “conoscenza” sulla base dell’esperienza, autoapprendimento che sgraverebbe il progettatore (se in buona fede) dalle azioni dell’androide.  A detta dei maggiori esponenti della roboetica, si potrebbe infine parlare di “responsabilità del singolo robot” nell’unica ipotesi in cui si riconosca a questi ultimi “una vita psichica interiore”, vale a dire una propria personalità.

In netto contrasto con tale visione è tuttavia il concetto di responsabilità, in filosofia strettamente connesso al concetto di libertà e di libero arbitrio: per essere ritenuti responsabili del proprio operato esso deve essere avvenuto in base ad una libera scelta.  È proprio questo che viene a mancare nelle intelligenze artificiali, che rende quindi assurda nonché impossibile l’ipotesi dell’attribuzione di una capacità giuridica ai robot.

Personalità ed emotività

Quando e come riconoscere allora ai robot una personalità? Un ruolo di primaria importanza è in tal contesto giocato dall’emotività. Stupiscono i risultati ottenuti in questo campo: esistono robot programmati specificamente per simulare al meglio le emozioni, e conseguentemente di suscitarne nell’uomo, ed Asimo (il più avanzato umanoide prodotto dalla Honda) ne è stato un esempio nel suo debutto come direttore dell’orchestra sinfonica di Detroit. Se per molti lo status di uomo è da mettere in discussione qualora i robot acquistino la capacità di provare emozioni, per Isaac Asimov (autore del libro “L’uomo bicentenario”, da cui l’omonimo film) quest’ultima non è sufficiente. Così nonostante il forte amore di Andrew per Porzia ed il suo aspetto indistinguibilmente umano a seguito dei ripetuti interventi, alla richiesta di   veder riconosciuto il suo status di uomo il giudizio della corte è irremovibile: Andrew resterà una “macchina meccanica e niente più”, almeno fino all’acquisto della mortalità.

Secondo il direttore dell’Icub Facility Giorgio Metta invece, la questione non si pone:

<< La riproducibilità delle emozioni umane, ovvero del sistema ormonale che ci permette di provare gioia, tristezza, amore e sofferenza, non è concretamente possibile né auspicabile>>.

Così, per quanto simile all’uomo, l’umanoide non sarà mai in grado di prendere decisioni emotive:

<<Il giorno in cui fosse possibile, non avremo più robot ma cloni, e allora di certo sorgeranno questioni etiche immense, ma non connesse alla robotica, bensì alla genetica della duplicazione umana: nulla a che fare con le macchine!>>.

L’intelligenza emotiva e l’intelligenza artificiale restano così ancora fortemente sconnesse.

Eppure, con lo sviluppo continuo di robot con componenti organiche, protesi corporee, le questioni etiche non sono da sottovalutare e la fantascienza non sembrerebbe poi così irreale.

Probabilmente non è molto distante il giorno in cui avremo tutti un piccolo Wall-e in casa, ma quanto invece il giorno in cui saremo disposti ad accettarlo?

Images: copertina

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