De Chirico, ovvero come essere un cattivo manager di se stessi

Dei grandi artisti conosciamo le opere e le idee, per questo li idealizziamo e ci fa un effetto quasi comico venire a sapere della loro vita privata, spesso non illuminata dal buon senso o dalla nobiltà d’animo.

Questa è la storia del viaggio negli USA di Giorgio de Chirico (ricostruito recentemente da Silvia Somaschini) che tanto fu grande come artista quanto disastroso come manager di se stesso.

Correva l’anno 1936, sul molo del porto di Genova Giorgio de Chirico aspettava di imbarcarsi sul transatlantico Roma che lo avrebbe portato a New York.

L’America, per molti un simbolo di speranza, il luogo dove ricominciare una nuova vita; in un certo senso fu questo anche per de Chirico (nonostante il suo sarà un soggiorno temporaneo).

In Europa iniziava a sentirsi tagliato fuori: i surrealisti consideravano la sua pittura metafisica un’anticipazione della loro poetica, lo proclamarono precursore del surrealismo, un omaggio che de Chirico vide come una condanna dato che il suo periodo metafisico era finito nel 1918 e le opere successive erano sminuite.

Lontano dalla vecchia Europa avrebbe potuto far conoscere le sue opere più recenti, far vedere che dopo il 1918 c’era ancora un de Chirico.

La mostra del MoMA nel dicembre del ‘36 dovette deludere le sue speranze: dedicata al surrealismo, espose di suo solo opere precedenti al ’18. Anche negli USA si riproponeva ciò che era accaduto nel vecchio continente.

Fu un attento gallerista a riaccendere le sue speranze: Julien Levy.

Levy a differenza di molti capì le tribolazioni di de Chirico, lo comprese, vide che l’artista voleva mostrare di non aver perso la sua creatività e organizzò una mostra appositamente dedicata alle opere più recenti: fu un successo e procurò a de Chirico apprezzamenti e commissioni.

Forte di questa vittoria, sicuro e fiducioso, decise di far allestire un’altra mostra personale, ancora più prestigiosa, contattò il gallerista Seligmann, la cui collezione era tra le più in vista di New York.

Seligmann si disse interessato, a differenza di Levy non apprezzava sinceramente de Chirico, lo riteneva tuttavia una buona pubblicità. Quando ormai sembrava certo il contratto con Seligmann, de Chirico lo rifiutò attratto dalla possibilità di esporre da Wildestein che gli avrebbe dato ancora più visibilità.

Ben presto si accorse che dietro l’iniziale interesse manifestato da Wildenstein non c’era molto, dopo qualche esitazione Wildestein gli comunicò che non era interessato alle sue opere recenti e lo liquidò.

De Chirico tornò a testa bassa da Levy che lo aveva sempre sostenuto, ma contemporaneamente cercò di rientrare nelle grazie di Seligmann chiedendogli di ripensare a ospitare una sua esposizione.

Seligmann, non molto lusingato dall’atteggiamento dell’artista, finì comunque per accettare.

De Chirico non si preoccupò troppo dell’organizzazione e non ritiene nemmeno necessario presenziare all’inaugurazione, quest’ultimo rifiuto fu la goccia che fece  traboccare il vaso, Seligmann non vuole più saperne e stizzito annullò la mostra.

C’è da rallegrarsi che de Chirico abbia scelto la carriera di artista e non quella di diplomatico.


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