Granchi di grafite

Granchi e altri animali marini disegnati: l’analisi di Salvatore Esposito in mostra con Artepassante

La frenesia delle ore 19.00 alla stazione Repubblica non sembra conoscere pause, se non nella Galleria Artepassante, dove il tempo sempre si ferma. Venerdì 11 Novembre era il ritmo di un tamburo a romperne il silenzio. Era il battito del mare che rimbomba sott’acqua fra gli scogli, a cui delicato si accoda un fruscio conchiglie, leggera risacca, mentre l’eco delle onde accompagna con la sua voce melodica il ritmo dei tamburi.

Tu Turuturutu…. Tu Turuturutu…

Fulminea una voce femminile irrompe nel canto del mare. Repentina. Incalzante. Quasi in apnea, la lettura di Francesca Di Traglia scandisce e spezza le note. È il rosso acceso sul blu profondo; è il granchio che si oppone al corso predefinito della risacca.

Giocondo, ragno delicato. Giuro di non voler vedere altro spettacolo, quando spaurito ti osservo percorrere con folle luce lo scoglio, tuo antico rifugio dove a te piace ricercare e riposare l’inverno.

Con tono picchiante, Francesca Di Traglia dà voce e movimento ai disegni che rivestono le pareti. Avvolti nel mistero, i Granchi di Salvatore Esposito sembrano muoversi dapprima impercettibilmente, scavare con le loro minuziose zampette, staccarsi poi dai fogli per invadere la stanza. Urlano i loro piccoli occhi neri carichi di voce, ricercando un contatto. Paura. Stupore. Intesa. Le figure scolpite emergono dalla carta bianca che non li contiene più. Il chiaroscuro rimbalza sugli scheletri e le corazze imponenti; sono tese le chele dei guerrieri del mare.

È una radiografia quella che Salvatore Esposito fa dei suoi Granchi: uno studio approfondito della forma che cerca di rendere la perfezione dei crostacei nei loro ritratti monocromatici. Da piccoli abitanti dei fondali spesso trascurati si espandono ostentando tutta la loro grandezza. E a noi, piccoli e insignificanti al loro cospetto, non resta che stupirci.

Una passione, quella del pittore pugliese, che risale a molto lontano, a quando da piccolo li rincorreva sulla spiaggia e fulmineo li imprigionava. Così, il bambino cresciuto, li cattura adesso sulla carta.

«Sono nato a Gallipoli, e fin da piccolo l’idea del mare mi ha accompagnato in ogni mia azione. Già a sei anni andavo sulla riva a vedere come erano fatti i granchi, erano sempre tutti diversi…»

Quando ha iniziato a disegnarli?

«Nel 1998/99 in maniera sistematica, ma ne avevo già precedentemente sviluppato l’idea in pittura. Questa mostra, poi, nasce da un’analisi guardando due disegni di Leonardo sui granchi, animali successivamente utilizzati come ornamento in altre nature morte. La mia tuttavia è un’indagine precisa, per la quale sto anche valutando un’esposizione al Museo di Storia Naturale di Londra».

Perché la scelta della grafite?

«La fotografia non riesce a tirare fuori come la grafite. La mia è un’indagine del mistero che c’è dietro i movimenti, uno studio di come ciò si sviluppa».

Uno studio composto di 300 disegni, eppure in nessuno di questi i granchi sono rappresentati in gruppo…

«Non sarebbe più uno studio ma una natura morta! La mia è un’analisi sulla forma che nessuno aveva mai fatto prima, nonostante essi fossero apparsi già nelle tele di Durer. In questo ritratto, ad esempio [spiega indicando il ventre e il dorso di una Grancevola femmina], ho utilizzato il suo stesso modello. È una specie chiamata crab in francese; nel rappresentarlo non ho voluto evidenziare il volume, ma il segno».

E dove trova i suoi modelli?

«Questi granchi li ho presi a Boston, a Lisbona, in Brasile, a seconda di dove mi trovavo in quel momento. Li ho catturati fisicamente, e dopo averli bolliti e svuotati sono divenuti i miei modelli. Dopo questa fase di preparazione, quella che rimane è la parte esterna che si mantiene benissimo».

Talmente misteriosi, talmente affascinanti da risultare quasi tenebrosi i Granchi del pittore gallipolino. I dettagli con cui traccia le chele e le corazze chiaroscurate evidenziano uno studio approfondito. La passione trapela dalla voce sommossa e dal luccichio degli occhi mentre racconta, a distanza di anni da quando piccolo li rincorreva sugli scogli, dei suoi Granchi.

«La cosa più bella dello studio dei granchi è l’eroismo delle chele che diventa un disegno, da una forma di difesa una cosa da far vedere. Sono perfetti, nella loro forma. Talmente perfetti che sono rimasti sempre così. Guarda questo pentagono regolare che hanno sulla corazza: esiste da milioni di anni…»

Osserviamo questi crostacei e i loro sguardi rapiscono inevitabilmente anche noi. Uno sembra un’astronave, la robustezza e i dettagli di un secondo ricordano il Duomo. I tratti precisi del pittore, che derivano da un’osservazione quasi maniacale, si sbizzarriscono nell’anatomia dei sovrani degli scogli. Lo scudo della grancevola femmina per contenere le uova, la geometria dell’addome e il volume degli arti. L’amore di Salvatore Esposito brilla nella polvere di grafite e ci avvolge completamente trascinandoci tra il fruscio delle chele e il mormorio delle onde in quello che è sempre stato il suo mondo: il mare.


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