Lì non si poteva cadere

Fissava il fondale da dietro la maschera leggermente appannata, con i muscoli rilassati e il corpo che si abbandonava totalmente alla naturale spinta dell’acqua salata. L’aria passava dal tubo e permetteva ai polmoni di accogliere l’ossigeno; allungava i respiri per ridurre al minimo le palpitazioni del cuore. Quando si sentì pronta, eccolo, l’ultimo respiro, quello che le sarebbe rimasto nei polmoni per tutto il tempo in cui sarebbe riuscita a resistere. Con un movimento di braccia che le riusciva fin troppo facilmente iniziò a scendere lentamente, metro dopo metro, fissando il suo obiettivo: il fondo. In pochi secondi riuscì a toccarlo, e così fece quello che più amava: alzò lo sguardo e osservò quel mondo immobile non più dall’alto, ma dal basso, come se lei stessa ne facesse parte. La distesa subacquea si perdeva alla vista del suo sguardo e i metri d’acqua pesavano sopra la testa. Quella distanza dal suo mondo le lasciava una punta di adrenalina sulla pelle, ma amava quella sensazione. Nuotava ondeggiando come una sirena, con il ventre che quasi sfiorava il fondo sabbioso. Quel mondo era diverso, non c’era aria, non c’era peso, tutto era semplicemente e magicamente sospeso: lì non si poteva cadere.

Qual è la sensazione che più spaventa? Quella di cadere, precipitare, quella sensazione che spesso ti coglie nel cuore della notte e ti fa svegliare di soprassalto lasciandoti ancora il cuore che batte in modo incontrollabile. Ma lì nessuno cadeva e nessuno piangeva. Non c’era nè guerra, nè fuoco, nè odio, nè amore, nè dolore. Il diaframma iniziava a contrarsi per il bisogno di ricevere nuova aria, ma perchè doveva respirare? Perchè non poteva respirare il mare, che è così puro. Alzò lo sguardo verso il cerchio di luce del sole: quella luce la chiamava, sentiva il bisogno di tornare in superficie perchè il suo corpo non poteva vivere senza ossigeno. Ma in fondo anche nell’acqua c’è l’ossigeno, perchè non poteva servirsi di quello? L’idrogeno se lo tiene troppo stretto, non lo lascia andare e questo legame è inscindibile per il nostro corpo. Il cuore iniziò a rallentare i battiti per la mancaza di ossigeno nel suo sangue e iniziò a sentirsi le gambe stanche e pesanti, ma ancora non voleva salire, non voleva tornare a tutti quei pensieri e quei problemi, a quella vita troppo frenetica che spesso non le lasciava vie di fuga.

Era possibile morire così? Morire scegliendo di respirare l’acqua. Ma forse non sarebbe annegata, sarebbe diventata una bellissima sirena, come aveva sempre sognato da bambina. Una sirena che nuota elegante come anche lei sapeva fare, volteggiando e muovendo la sua bellissima pinna, girando mentre saliva verso la superficie, e così facendo, chiuse gli occhi e raggiunse, quasi senza accorgesene, la superficie. Uscendo dall’acqua riprese fiato e quel respiro fu quasi un piacere: l’aria era un regalo, la vita era un regalo e con quel respiro, come da una seconda nascita, poteva ritornare a vivere.


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