Dalla Scuola all’Ambiente, con Davide Rossi (Parte 1 di 2)

Scuola, Istruzione, Ambiente, Accettazione, Riforme, Indipendenza, Immigrazione. Parole oggigiorno sprecate sulle pagine dei giornali, sulle bocche dei politici; parole che si svuotano sempre più del proprio significato, storpiate, fraintese. Un’intervista a Davide Rossi, Segretario generale del S.I.S.A. (nonché docente, storico e giornalista), per riflettere su temi che ci toccano sempre più da vicino, su come il Sindacato Indipendente Scuola e Ambiente li affronta nella propria “idea di società aperta e inclusiva”.

 S.per Sindacato:

Il SISA (Sindacato Indipendente Scuola e Ambiente) nasce nell’ottobre 2007 con l’intento di porre “nella stessa organizzazione studenti e docenti, insieme e con responsabilità condivise per costruire una scuola e una università capaci di futuro”. Quanti e quali risultati può vantare di aver raggiunto, rispetto agli altri sindacati di cui vuole costituire un’alternativa?

Credo che noi siamo un granello di futuro, il SISA fin da subito si è dimostrato essere molto poco un sindacato di lavoratori della scuola assunti a tempo indeterminato, lo siamo in pochi dentro il SISA. Siamo piuttosto un soggetto che pone la scuola e i saperi, la loro libera costruzione fondata sulla libertà di insegnamento dei docenti e sulla libertà di apprendimento degli studenti, al centro di un agire collettivo. Nel nostro manifesto costitutivo ci sono don Lorenzo Milani, che ricorda che ogni autoritarismo è contro il sapere, che la patria di ciascuno di noi devono essere gli oppressi e gli sfruttati e i nostri nemici gli oppressori e gli sfruttatori e poi Gianni Rodari, il più grande teorico del diritto alla fantasia. Nel SISA sono in maggioranza le ragazze e i ragazzi, non solo studenti, ma anche precari figli di qualsiasi precarietà, umana, esistenziale, lavorativa, tragicamente imposta dal liberismo e dal capitalismo-consumismo. I precari docenti e ATA della scuola che aderiscono al SISA si riconoscono in questa visione solidale e plurale, contraria a ogni egoismo. Insomma siamo un granello di futuro, perché siamo un soggetto capace di raccogliere, intorno ad alcune idee, culture e sentimenti diversi e avanzare proposte innovative a partire da un’idea di società aperta e inclusiva.

In particolar modo il SISA si è caratterizzato per l’attenzione europea ed internazionale: come si colloca l’Italia rispetto alle altre nazioni per quanto riguarda le politiche scolastiche?

La scuola e l’università dovrebbero essere un luogo privilegiato di relazione educativa, nelle quali i giovani costruiscono i saperi e non un luogo di mera trasmissione dei saperi funzionali al potere dominante. In questo senso, noi crediamo convintamente nella solidarietà internazionale e ci sentiamo fratelli di ogni essere umano, migrante, rom, straniero, coltiviamo relazioni con quelle nazioni che si riconoscono nei valori dell’eguaglianza e dell’antifascismo e che nel solco di questi valori garantiscono nei loro paesi, pur tra mille difficoltà, il pieno diritto all’istruzione, al lavoro, alla casa, alla salute.

 

I. per Indipendente:

Nel 70esimo anniversario della Liberazione italiana è importante ricordare valori come la Libertà e l’Indipendenza, dei quali la lotta partigiana è stata paladina. La Storia ci mostra come la protesta si sia rivelata arma necessaria e indispensabile per far valere i propri diritti, ma anche come spesso sia invece sfociata in forme di violenza. Lo stesso don Milani rivendicava la nobiltà di due armi incruente, lo sciopero ed il voto. Come sensibilizzare i giovani, gli studenti, ad una lotta non violenta, in una società che si mostra sempre più denigrante e meno propositiva? La protesta è ancora il mezzo, o è ormai solo fine a se stessa?

Il declino non reversibile della società occidentale, frutto della fine della rapina delle materie prime a danno dei paesi del sud del mondo, che oggi trovano più onesti acquirenti nei paesi BRICS, porta con sé, non essendo tale declino spiegato, ma nascosto dietro sterili proclami di “crescita” e di “sviluppo” fatti dai politici europei, un senso di frustrazione, di assenza di prospettiva e di rabbia che spesso si incanala nella violenza. Per altro il tutto avviene in una generale confusione in cui spesso particolarismi e personalismi fanno perdere di vista l’idea dell’agire insieme.

Evidentemente la protesta e lo sciopero hanno ancora il loro senso e il loro valore e sono mobilitazioni di carne, cuore e pensiero molto più efficaci di semplici adesioni virtuali via computer.

Dalla Resistenza antifascista, dai valori che essa ci regala, dalla memoria che tale lotta è stata europea e mondiale, noi il 9 maggio siamo quasi ogni anno a Berlino per ricordare la Liberazione della città nel 1945 dalla barbarie nazista, possono venire molti insegnamenti concreti di un agire comune da praticare anche nel tempo presente.

La lotta per l’Indipendenza è anche lotta per l’emancipazione e per l’integrazione. Particolare attenzione è stata a tal proposito posta al caso della minoranza slovena presente in Italia. Come favorire l’integrazione in un territorio ancorato a vicende del passato, che ostacolano ancora oggi una serena convivenza?

Il caso sloveno, iniziato con la tragica annessione di Trieste all’Italia nel 1918, è l’esempio di molte altre discriminazioni che si sono perpetrate in Italia nel corso di questo ultimo secolo, negare diritti a una parte di cittadini è il segno di una prevaricazione e di una violenza. Gli sloveni continuano a subirla, come ho spiegato nel mio libro Con Tito a Trieste. Il razzismo contro gli immigrati, i rom e sinti, rappresenta la perpetuazione di una intolleranza e di una avversione verso chiunque non venga vissuto come parte di un ipotetico fortino assediato. Tuttavia la società non è un fortino, è uno spazio aggregativo mutevole.

I giovani di Africa, Asia e America Latina sono gli italiani di domani, io ogni giorno sto con loro, insegno infatti ai ragazzi neo-immigrati. Il nostro compito è costruire ponti di dialogo, spazi di conoscenza reciproca. Mi preoccupa molto la criminalizzazione che viene fatta della religione islamica, l’Islam è un elemento di identità personale e collettiva di migliaia di ragazzi italiani e i flussi migratori, incontenibili, porteranno milioni di giovani del Mediterraneo a vivere in Europa, popolata da vecchi.

Questi ragazzi sono il futuro d’Italia e del continente europeo, occorre capirsi e crescere insieme, non alimentare odio e paure.

Di recente Le sono state mosse accuse (ingiustificate e fuorvianti) di familiarità con idee di stampo neonazista, data la Sua, seppur breve, collaborazione con Millennium (Partito Comunitarista Europeo). In un articolo pubblicato sul sito “giulemanidallacina.wordpress.com” e rilanciato dal gruppo in questione, presenta lo stato asiatico come vittima del servilismo verso l’ideologia liberista e dell’anticomunismo europeo. Che radici e frutti ha in Europa il cosiddetto “consenso americano”? Non può esistere anche un rischio di “consenso cinese”?

È una storia molto triste quella di chi associa me e il SISA a idee e valori che detestiamo e facendolo ad esempio afferma che il nostro simbolo sarebbe una svastica rotante o il quello dei neonazisti greci. Il simbolo del SISA ci è stato dato dal SISA svizzero, sindacato formato da studenti e giovani lavoratori di orientamento comunista. Per quanto possa aver sbagliato a dialogare con i ragazzi di Millenium, basta ascoltare quanto ho detto pure in quelle occasioni per capire quali idee ho espresso, idee sempre orientate all’antifascismo e all’internazionalismo. Per altro dirigo il Centro Studi “Anna Seghers”, grande scrittrice comunista, ebrea, tedesca, presidentessa degli scrittori della DDR, insomma, chi ci attacca vuole offrire di noi un’idea che non ci corrisponde. Consiglio di leggere qualcuno dei miei libri a chi coltivasse ancora dubbi, scoprirà che l’eguaglianza tra tutti gli esseri umani è il nostro orizzonte.

Per quanto riguarda la Cina, ma potremmo dire anche la Russia, intanto sono sconvolto del livello colossale di disinformazione che qui in Europa ammanta i due paesi: ogni occasione è buona per attaccarli, distorcere la realtà, mostrarli come pericoli, come attentatori alla pace e al benessere occidentale. È evidente che immaginare un mondo multipolare, in cui tutte le nazioni sono rispettate, agita e infastidisce chi da troppi anni attraverso la NATO cerca di imporre violentemente i propri modelli culturali, funzionali alla rapina delle materie prime energetiche e alimentari.

La Cina mi sembra abbastanza estranea all’idea di fomentare un consenso forzato nei suoi riguardi, è mossa da altre logiche, ha una storia e una cultura diversa.

La Cina non ha intenzione di imporsi come esempio, le basta vedere riconosciuti i suoi diritti.

C’è una grande differenza tra la cultura statunitense e quella cinese, la prima è un po’ il frutto della spacconeria dei cow-boy, la seconda ha radici millenarie nel pensiero taoista e confuciano. Una bella differenza.


Davide Rossi è un docente, storico e giornalista, e direttore del Centro Studi “Anna Seghers” di Milano, dell’ISPEC, Istituto di Storia e Filosofia del Pensiero Contemporaneo di Locarno e vicedirettore dell’Institut International de Formation et Recherche “Patrice Lumumba” di Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo.  Ha scritto diversi saggi di impronta storica o letteraria, manifestando sempre il proprio interesse per la cultura dei paesi socialisti e dei popoli del Sud del mondo. E’ inoltre segretario generale del SISA – Sindacato Indipendente Scuola e Ambiente, responsabile dal 2007 del “Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana” per la Lombardia e il Ticino e corrispondente dall’Italia per Sinistra.ch e dal 2000 dirige il mensile culturale on line aurorarivista.it.


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