Selfie-narcisismo

La Galleria degli Uffizi, seguita da molti altri musei italiani, vieta l’uso del selfie-stick. La decisione è stata presa anche per le poco eleganti foto della cantante Katy Perry in giro per l’Italia. Devo dire che sono foto divertenti, volgarotte ma assolutamente innocue e inoffensive.

Chi non si è mai fatto un selfie? La pratica è molto diffusa e la conosciamo tutti.

Pics or it didn’t happen” (fotografalo o non è avvenuto). Le foto immortalano un evento che vorremmo scolpito e siccome la memoria non basta (mah!), lo fotografiamo, per farlo esistere concretamente. In tutte le principali piazze delle città d’arte, e non, troviamo molti venditori di selfie-stick e gli acquirenti pronti a immortalarsi, come se fossero loro la vera opera d’arte, o, per meglio dire, l’opera d’arte acquista importanza in quanto loro ci sono accanto (o davanti). Una sorta di dadaismo esistenziale. Per i dadaisti era l’artista, con la sua firma, a dare valore all’opera e così oggi è la nostra faccia a darne un senso, un significato.

Si parla moto di disturbo da deficit dell’attenzione o di poca memoria da parte delle nuove generazioni e, a mio parere, la grande popolarità del selfie sta proprio a indicare quanto trovi conferma tutto questo, la memoria è qualcosa di troppo astratto e, soprattutto, nessuno può vederla e commentarla. La foto sì. Nella foto ci rispecchiamo, ci sondiamo continuamente, un sondaggio secondo per secondo delle nostre emozioni, dei nostri sensi, del nostro pensiero, quasi a doverli rafforzare, cristallizzare in un istante da condividere e commentare.

L’esistenza trova concretezza nell’immagine di sè, così come i luoghi visitati son simili a figurine da collezionare e appiccicare negli album per suscitare partecipazione e immedesimazione, se non rispecchiandovisi completamente.

I selfie-stick sono vietati, ufficialmente, per motivi di sicurezza, ma sottosotto, a mio parere, anche per una forma di pudore del Ministero dei beni culturali, restio a vedere altre foto come quelle di Katy Perry.

Mi piace fare foto, ma non amo molto comparire accanto a un monumento o opera d’arte, ma questo vale per me, non per tutti. Trovo stimolante ricordare l’evento, perché la memoria risulta plastica e non legata alla veridicità dell’episodio, ma piuttosto alla sua emotività, alle sensazioni suscitate da quel luogo, da quel quadro, similmente a quanto accade a un fumatore che beve un caffè e che sente la necessità, il gusto della sigaretta. Ci pensa il nostro cervello, non c’è bisogno di far lavorare dita e occhi per averne un’immagine concreta, oltre al fatto (ma anche questo vale per me e non per tutti) da essere accompagnato da una forma di riservatezza che mi porta a non voler condividere con una cerchia di persone tutto il mio mondo. Il selfie è un segno, un’immagine fin troppo condivisibile, alla portata di commenti di una fetta troppo ampia di persone.

Il selfie-narcisismo non è una malattia, né un male della società, la trovo solo una spiacevole abitudine che mi auguro non si sostituisca mai al piacere del ricordare per se stessi.


CREDITS

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.