L’Italia e la paura del barcone

di Isabella Poretti

Mancavano pochi giorni a capodanno, eravamo in viaggio una sera verso Lugano per fare qualcosa di diverso. Eravamo una quindicina di amici. Tre macchine e un semaforo rosso che avremmo dovuto rispettare. Accostammo. Tre poliziotti svizzeri e una multa di 900 € da pagare seduta stante.

Eravamo ragazzini poco più che diciottenni, eravamo spaventati, dovevamo fare una colletta di tutto ciò che avevamo per uscirne bene. Tra la delusione generale, la rabbia per i soldi persi inutilmente, il sentirci stupidi per una svista come quella, le scuse e i tentativi di risolvere la questione, cercammo un dialogo con gli agenti.

Un ghigno tra lo scocciato, il polemico e il compiaciuto comparve sul viso di uno dei poliziotti il quale con grande sfacciataggine ci disse: “Qui non siamo mica in Italia, dove potete fare quello che volete”.

Non eravamo criminali, non abbiamo mancato di rispetto alle regole di proposito e alla fine siamo anche riusciti a pagare tutto quanto. Eppure agli occhi di quel poliziotto svizzero così ligio al suo dovere noi eravamo solo degli italiani, o meglio i soliti italiani, che vogliono solamente “fare i furbi”, aggirare le regole per fare ciò che è più comodo a loro.

Noi eravamo uno stereotipo, noi non potevamo essere diversi da come ci immaginavano loro perché noi avevamo la colpa di essere italiani e il nostro comportamento non poteva avere nessun altra spiegazione se non questa.

Anche se si tratta di un episodio insignificante e nemmeno così grave, ho provato sulla mia pelle, almeno in minima parte, cosa significhi essere discriminata e relegata in una cerchia di luoghi comuni che trovano origine semplicemente nelle mie generalità sulla carta d’identità. E ultimamente di stereotipi e affermazioni avventate e xenofobe ne abbiamo sentite parecchie.

L’Italia sembra essere presa da una fortissima febbre contro l’immigrato che per un motivo o per l’altro ci sta mettendo tutti in allarme, ci fa camminare per la strada con più riguardo di prima e alimenta il nostro odio verso lo straniero. Fomentata dalle più svariate battaglie a colpi di tweet di diversi personaggi pubblici come Gianni Morandi, Selvaggia Lucarelli, Salvini, ecc., l’Italia ha iniziato a dividersi tra i difensori degli immigrati e chi li respingerebbe più che volentieri.

Il nostro Paese non è certo uno dei più felici al mondo ma offrire assistenza a persone che fuggono da una realtà di guerra e profondo disagio è un atto di civiltà e negarlo a prescindere significherebbe di conseguenza non essere una società civile.

Oggi si è arrivati a un punto di non ritorno dove per alcuni parlare di egoismo in questo caso equivale a parlare di autoconservazione. Continuano ad arrivare persone in cerca di speranza e noi o per paura, o per ignoranza o semplicemente per raccogliere voti facili le additiamo come terroristi e delinquenti. Questo atteggiamento porterà presto o tardi, delirando, crescendo e insinuandosi profondamente nella nostra visione del mondo, ad una degenerazione generale e a un aumento fuori controllo degli episodi di razzismo.

E noi italiani, giusto per generalizzare un po’, la sappiamo già molto lunga riguardo a questo. Non è nemmeno giusto affermare che in quegli innumerevoli esodi di gente non ci siano soggetti quantomeno poco raccomandabili. Ma d’altro canto non mi sembra nemmeno che noi italiani siamo tutti buoni cittadini (e qui la lista si fa altrettanto lunga).

Quindi, carissimi compatrioti, a voi l’invito e l’augurio di non lasciarvi travolgere dall’onda xenofoba che sta avvelenando le nostre capacità di formarci opinioni indipendenti, a discapito di qualunque fazione politica e ignoranza generata dal pregiudizio.

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